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Zangrillo: «Sulle carriere nella Pa nuove regole più trasparenti dei concorsi»

Data 15/03/2025

Il percorso che abbiamo costruito per i futuri dirigenti nel disegno di legge sul Merito è più severo e trasparente rispetto al concorso pubblico. Chi solleva dubbi sul rispetto dei principi costituzionali evidentemente non ha avuto la voglia o il tempo di leggere il testo». È un Paolo Zangrillo sicuro e deciso quello che risponde alle domande del Sole 24 Ore all'indomani dell'approvazione in consiglio dei ministri del progetto di legge con la riforma più profonda fra quelle avviate alla Funzione pubblica in questa legislatura. Per ottenere il risultato di ieri, del resto, il ministro per la Pa ha dovuto lavorare parecchio in un impegno "diplomatico" con il resto del Governo e i piani alti dell'apparato statale. «Abbiamo concertato nel dettaglio i contenuti del provvedimento con tutti gli interessati», riconosce Zangrillo, confidando che questo negoziato preventivo riesca anche a fluidificare il cammino del disegno di legge in Parlamento.

Ministro, partiamo dal principio, o meglio dai princìpi che muovono la riforma. Perché questa "battaglia" all'esclusiva dei concorsi pubblici?

Perché per cambiare la Pubblica amministrazione dobbiamo attribuire ai dirigenti gli strumenti per fare il loro vero lavoro, che è quello di gestire i percorsi di crescita dei collaboratori. In pratica vogliamo costringere i dirigenti a occuparsi delle loro persone ma anche fornire la possibilità di farlo, senza ovviamente derogare in alcun modo ai criteri di imparzialità e trasparenza dettati dalla Costituzione.

Proprio su questo, però, i dubbi sono stati molti, nel mondo sindacale e non solo.

Per fugarli allora andiamo a vedere bene i meccanismi di carriera previsti dal disegno di legge. Prima di tutto, possono essere proposti per lo sviluppo di carriera solo i funzionari che hanno svolto quel ruolo per cinque anni esprimendo un profilo adeguato in termini di performance e di potenzialità di crescita. Il dirigente che propone il funzionario candidato alla carriera deve poi svolgere una relazione a una commissione di sette membri estratti a sorte, presieduta da un componente esterno all'amministrazione e completata da un assessor, cioè un altro esterno con competenze specifiche e professionali nella selezione del personale. A valle di questo percorso non si arriva al ruolo, ma a un incarico temporaneo che deve essere valutato ed eventualmente rinnovato in un altro periodo di osservazione che dura quattro anni. Parliamo insomma di un percorso di nove anni, che misura precisi requisiti professionali e comportamentali della persona e si completa nel giudizio finale da parte di una commissione diversa da quella che ha effettuato le valutazioni all'inizio. È difficile pensare che in tutto questo tempo sia all'opera un'ampia coalizione di persone concordi nell'impegno a dribblare i parametri di imparzialità e trasparenza per promuovere un approccio amichettista.

In questi termini, lo «sviluppo di carriera» nella Pa sembra rimanere comunque lontanissimo dai meccanismi del settore privato, che sono decisamente più informali.

L'avvicinamento dell'amministrazione pubblica alle dinamiche del privato avviene nella prima parte del provvedimento, che è almeno altrettanto importante anche se fin qui ha acceso minori discussioni. Mi riferisco alle norme che ripensano i sistemi di definizione e di assegnazione degli obiettivi, che per essere effettivi vanno decisi entro marzo, e non a fine anno come accade con l'approccio burocratico attuale, e devono guardare anche alle competenze trasversali e organizzative. Lì mi sono fortemente ispirato alle esperienze che le organizzazioni eccellenti nel mondo hanno sperimentato nel tempo. Perché sono fermamente convinto che chi guida debba avere cognizione delle persone che gestisce: muovere le leve abilitanti nell'organizzazione significa costringere i dirigenti a occuparsi delle proprie persone.

Questo sembra prospettare una dirigenza pubblica che abbandoni il catenaccio e passi all'attacco. Ma i dirigenti sono pronti a un cambio culturale di questo tipo? E bastano delle norme a promuoverlo?

No, le norme da sole non bastano. Ma il nostro primo dovere è stato quello di chiederci se le regole attuali fossero adeguate per iniziare a muoverci in quella direzione. E senza dubbio non lo sono. Oggi la gestione delle persone nella Pa si ispira a una logica fai da te. I funzionari per crescere devono studiare autonomamente per il concorso, e i dirigenti di conseguenza non si occupano di loro. Ora proponiamo una prospettiva diversa, fondata su un dialogo fra dirigente e collaboratori in cui prima si chiarisce quel che ci si aspetta da loro e poi lo si misura in termini di rapporto fra risultati attesi e raggiunti. Le norme sono il primo passo, la formazione il secondo, essenziale.

State già progettando anche questa seconda mossa?

Di più, la stiamo realizzando. Con la comunità di pratica che abbiamo avviato nei mesi scorsi con i responsabili delle risorse umane abbiamo fatto partire un percorso volto al confronto costante. A questo si aggiunge la realizzazione di un corso di formazione sui temi della leadership e della performance, sperimentato al dipartimento della Funzione pubblica, e ora rivolto a tutti i dirigenti pubblici dedicato al rafforzamento delle competenze trasversali. Assegnare obiettivi e valutare performance e comportamenti organizzativi dei collaboratori è un mestiere che non si improvvisa, quindi bisogna formare le persone. E occorre far capire che la responsabilità primaria del dirigente non è esprimere la migliore competenza tecnica, ma essere un riferimento professionale preparato a sostenere un dialogo e un confronto costante con i propri collaboratori, per trovare le aree di forza e di debolezza dell'organizzazione e orientare di conseguenza la formazione. Il miglioramento dei servizi per cittadini e imprese passa dall'aumento del livello di preparazione del personale, che è la responsabilità primaria e ineludibile del dirigente.

Nella riforma c'è anche una delega per il ripensamento degli Organismi interni di valutazione (Oiv). Perché?

Perché se come dice la Corte dei conti il 98% dei dipendenti pubblici è stato giudicato eccellente significa che il sistema non ha funzionato. Gli Oiv diventano ancora più importanti con obiettivi effettivi e valutazioni reali, e dovranno affiancare ma non sostituire i dirigenti.

L'eccellenza diffusa e i premi uguali per tutti nascono però anche dal fatto che il salario accessorio è utilizzato per sostenere in modo generalizzata stipendi che faticano per i livelli retributivi bassi e i ritardi nei rinnovi contrattuali.

Ne sono consapevole, ma sul punto il Rapporto pubblicato giovedì dall'Aran rende giustizia a quel che sta accadendo in questi anni. A fronte di una perdita di potere d'acquisto intorno al 25% fra 2016 e 2027, i contratti rinnovati e i fondi stanziati per le tornate successive garantiscono un recupero sostanzialmente integrale per molti comparti. Questo accade perché le due ultime leggi di bilancio consentono un salto quantitativo, con le risorse importanti già messe a bilancio, e qualitativo, grazie alla possibilità di gestire il percorso negoziale con continuità discutendo i rinnovi durante e non dopo il periodo di riferimento. Senza polemica, ma in ossequio alla verità: mi viene difficile capire come mai dopo il blocco dei contratti Cgil e Uil firmarono un'intesa con aumenti del 3,5% a fronte di un'inflazione cumulata fra 2010 e 2018 intorno al 12% e oggi invece non ci sia la disponibilità ad avviare un percorso che consente un recupero quasi integrale. È inspiegabile dal punto di vista negoziale, e sono costretto a pensare a ragioni diverse.

Per gli enti locali questo recupero integrale però non c'è, e anzi il percorso promette di allargare le distanze rispetto ai ministeri che stanno alimentando le mobilità crescenti verso le Pa centrali.

Non posso negare il problema perché penso di essere una persona seria, e anzi lo sento in modo forte perché nella mia esperienza la Pa più "autentica" sono gli enti territoriali, cioè il settore più vicino alla vita quotidiana dei cittadini. È evidente che oggi non ci sono spazi per una soluzione immediata con nuovi fondi. Ma ho ascoltato con attenzione le esigenze sollevate da Fedriga, Gandolfi e Manfredi (i presidenti di Conferenza delle Regioni, Upi e Anci hanno scritto al Governo una lettera sul tema, ndr; Sole 24 Ore del 2 marzo) e apriremo presto un confronto con loro e con il ministro dell'Economia Giorgetti. Penso che ci siano margini per lavorare su aspetti importanti come il salario accessorio e il welfare aziendale. Fin qui dal Mef ho sempre trovato un ottimo ascolto, come dimostrano le risorse contrattuali. Poi Giorgetti è stato sindaco e conosce bene le esigenze degli enti locali.