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Lo Smart working nella PA, tra continuità e innovazione

Data 16/01/2024

Lo smart working è stato, nel 2020 all'inizio della pandemia, una vera e propria ancora di salvezza per la nostra economia. Ha infatti permesso al Sistema Paese di continuare, seppur parzialmente, le sue attività. Parallelamente ha consentito al mondo dei servizi pubblici (si pensi alla scuola, per fare l'esempio più immediato) di continuare ad assistere i cittadini. Che bilancio ritiene di fare a distanza di più di tre anni sui suoi benefici?

«Durante la pandemia il sistema pubblico ha dato prova di grande capacità nel saper adattare i propri processi e, soprattutto, nel mettere in campo un forte senso di responsabilità. Sono state affrontate le primissime fasi dell'emergenza grazie ai 3.2 milioni di dipendenti della P.A., che si sono messi a disposizione per mandare avanti la macchina amministrativa. Attraverso una riorganizzazione veloce, pur con qualche inevitabile disagio, il sistema ha funzionato. In alcuni settori, penso a quello del Servizio Sanitario Nazionale o del soccorso, sono stati compiuti sforzi ben oltre le reali possibilità, lanciando letteralmente il cuore oltre l'ostacolo. Di più non era possibile, quindi non posso che essere fiero delle nostre persone e di come hanno saputo gestire non solo la fase pandemica, anche la progressiva normalizzazione dei servizi».

Con la fine dell'emergenza Covid, soprattutto nella Pubblica Amministrazione, si è un po' ripensato lo strumento insieme alle modalità applicative. In particolare, il suo predecessore alla guida di questo dicastero aveva tracciato, nell'autunno del 2021, le nuove linee per l'utilizzo dello strumento. Come vede il futuro dello Smart Working nella P.A.?

«Come ho avuto modo di ribadire più volte, combatto fermamente la narrazione di una pubblica amministrazione incapace di cogliere opportunità al pari del settore privato. Lo smart working è una modalità di erogazione della prestazione lavorativa che ha degli aspetti molti interessanti, come ad esempio la conciliazione tempi lavoro/vita privata, e se ben utilizzato rappresenta una risorsa. Molte aziende hanno continuato a utilizzarlo anche dopo la fine della pandemia, non vedo perché la stessa cosa non possa e non debba valere per la pubblica amministrazione. Da parte mia non ci sono preclusioni ideologiche, sono sincero, mi spaventa molto di più l'assenza intellettuale di dipendenti poco motivati che quella fisica dall'ufficio. È su questo che dobbiamo lavorare, insieme a regole chiare volte sempre al raggiungimento dei risultati. Non dobbiamo mai dimenticare che tutto quanto facciamo ha valore se percepito dai nostri utenti».

All'inizio il lavoro da remoto è stato apprezzato favorevolmente dai lavoratori perché diminuiva i costi vivi (trasporti, abbigliamento, etc.). Con la crisi Ucraina ed il conseguente incremento dei costi energetici si è ribaltato il bilanciamento costi/benefici. Vi sono state rivendicazioni per chiedere alle imprese il riconoscimento di questi costi. Come è possibile allora coniugare smart working e crisi energetica? State pensando di introdurre delle compensazioni nella P.A. per questi aspetti di costo?

«La crisi energetica e il caro bollette hanno pesato in modo significativo sulla vita di cittadini e imprese, non tanto in relazione al lavoro agile, ma in generale sul budget complessivo delle famiglie e delle attività economiche e imprenditoriali. Nella scorsa Legge di bilancio abbiamo destinato la maggior parte delle risorse per sterilizzare il caro prezzi e per far fronte all'inflazione che a dicembre aveva raggiunto la doppia cifra. La guerra in Ucraina ha compromesso ancora di più il mercato, non solo dal punto di vista energetico ma di tutto l'approvvigionamento di materie prime e della filiera alimentare, facendo aumentare i prezzi e spostando al ribasso il potere d'acquisto. In questo scenario, mutevole e imprevedibile, la programmazione del lavoro deve tener conto degli aspetti durevoli, bilanciando costi/opportunità. Nella pubblica amministrazione l'impatto del lavoro da remoto è vissuto positivamente in termini di risparmi in relazione all'organizzazione del lavoro e della flessibilità, soprattutto per alcune categorie come i fragili o i genitori di figli minori. Inoltre, a supporto del monitoraggio e dell'analisi sull'andamento dello smart working nella P.A., è stato creato l'osservatorio del lavoro agile, con il compito di elaborare proposte in una prospettiva sistemica e multidisciplinare in relazione a più fattori come l'organizzazione, la diffusione tecnologica, le competenze individuali, il benessere organizzativo e tutti gli elementi che partecipano alla definizione delle strategie funzionali ad attuare al meglio questo strumento di organizzazione del lavoro».

Com'è noto, uno dei principali cambiamenti nella cultura manageriale delle organizzazioni è il passaggio da un approccio per prescrizioni ad uno per obiettivi. Infatti, il manager si dovrà sempre più abituare, non avendo vicino a sé il proprio collaboratore, ad assegnare target e obiettivi e a valutarli. E dovrà sempre più sviluppare la cultura del feedback. Come vede questi temi nell'ambito della Pubblica Amministrazione? I suoi manager sono pronti ad accogliere questa sfida?

«In realtà la "rivoluzione" nella pubblica amministrazione è già partita. Con la contrattazione collettiva nazionale per il comparto pubblico ci siamo occupati di regolamentare il lavoro agile come forma di prestazione lavorativa organizzata. La nuova disciplina prevede la sottoscrizione di accordi individuali tra i singoli dipendenti e il dirigente responsabile, con l'indicazione degli obiettivi da raggiungere e dei risultati collegati. Un sistema che mette al centro il rapporto di fiducia con il dirigente, che è responsabile della performance del proprio dipendente, dell'individuazione degli obiettivi da assegnare e della misurazione di questi ultimi attraverso il controllo e il monitoraggio dell'attività svolta. Una vera rivoluzione, appunto, che ribadisce il ruolo del dirigente, non più solo portatore di know-how tecnico ma anche, e soprattutto, gestore di persone con la responsabilità di valorizzare il capitale umano».

Altro tema dibattuto è quello relativo agli aspetti tecnologici, alle modalità logistiche e al diritto alla disconnessione. Quali le sue posizioni su questi aspetti e in particolare al bilanciamento "vita-lavoro" che dovrebbe essere in qualche modo garantito e normato?

«Per quanto riguarda gli aspetti logistici e organizzativi, come accennavo, in sede di contrattazione collettiva abbiamo disciplinato gli aspetti tecnici e operativi, tra i quali le fasce di contestabilità e il diritto alla disconnessione, per conciliare in maniera funzionale tempi vita/lavoro e tutelare i lavoratori. La dotazione tecnologica è un elemento operativo necessario per lavorare bene, ma non basta. Non è sufficiente, infatti, fornire strumenti informatici ai nostri dipendenti, se poi non li mettiamo nelle condizioni di acquisire quelle competenze necessarie per sfruttare a pieno le opportunità che ci offrono. Per questo, oltre ad un lavoro di ammodernamento degli apparati e delle infrastrutture tecnologiche, abbiamo lavorato sul potenziamento della formazione come leva strategica per rendere la nostra organizzazione competitiva e in grado di rispondere ai cambiamenti e alle innovazioni che la modernità ci impone. Lo scorso 23 marzo ho firmato una direttiva sulla formazione, rivolta a tutti dipendenti, con cui sono state fissate linee guide per il raggiungimento di target minimi di formazione dei dipendenti. Abbiamo triplicato il tempo per la formazione, che viene inclusa tra le attività ordinarie di lavoro. Parallelamente abbiamo potenziato e rinnovato Syllabus, la piattaforma digitale dedicata alla formazione per tutti i dipendenti della P.A., con corsi sempre aggiornati e percorsi formativi personalizzati. Un lavoro a 360 gradi sull'organizzazione del lavoro che sta dando ottimi frutti».

Lo smart working rientra, a suo avviso, tra le politiche di sostegno del mondo femminile? Soprattutto per il periodo del post maternità potrebbe garantire un atterraggio più morbido nel rientro sul posto di lavoro? Vantaggi e limiti di questo approccio.

«È innegabile che le donne, le mamme, sono quelle che assumono su di sé la cura dei figli soprattutto nei primissimi mesi di vita e un aiuto per conciliare al meglio il lavoro in ufficio con quello da genitore consente di avere una maggiore serenità organizzativa. Ma non voglio farne solo una questione di genere perché sarebbe riduttivo e poco edificante per le donne che scelgono una diversa organizzazione di vita. Lo smart working è una risorsa per tutti coloro che traggono benessere organizzativo lavorando, sapendo lavorare per obiettivi. È questo il vero nodo: mettere insieme capacità organizzative diverse con l'irrinunciabile necessità di offrire servizi efficienti e di qualità, di dare risposte concrete ai nostri utenti e di portare a termine i compiti assegnati».

Secondo lei lo strumento ha trovato la sua impostazione definitiva o va ancora studiato per ottimizzarlo?

«Tutto è miglioratile. In questi ultimi due anni abbiamo maturato una esperienza che ci consente di valutare, tenendo conto dei feed back dei nostri utenti, quali ulteriori adattamenti si possono immaginare. In un mondo in frenetica evoluzione nulla, anche le soluzioni più brillanti, è immutabile. Dobbiamo esercitare le nostre persone a pensare al cambiamento come una opportunità».