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«Dirigenti e premi di risultato. Il criterio del merito nella Pa»

Data 18/03/2025

Paolo Zangrillo, ministro della Pubblica amministrazione, con la sua riforma approvata in Consiglio dei ministri, propone forti cambiamenti nel processo di selezione dei dirigenti e nel meccanismo di attribuzione dei premi di rendimento. In particolare, se la riforma sarà approvata in Parlamento, il 30% dei posti da dirigente sarà accessibile non più per concorso ma con una procedura che passa per la valutazione del lavoro svolto dal funzionario o dal quadro che si candida alla promozione.

Perché questa via sarebbe migliore del concorso?

«Con questo provvedimento affianco al concorso un percorso che consente di attribuire a chi ha la responsabilità della gestione delle persone di promuovere i meritevoli. Le procedure concorsuali misurano la capacità di apprendere, ma a questa non è automatico che faccia seguito il saper fare. Inoltre, oggi, un funzionario che aspiri a crescere, ha necessità di studiare e di passare un concorso, ma non tutti possono farlo, perché sono molto impegnati. E comunque lasciare tutto all'iniziativa del singolo deresponsabilizza i dirigenti, che non avvertono la necessità di adottare soluzioni per far crescere le persone. Invece, vogliamo un'organizzazione moderna che metta a disposizione percorsi per valorizzare i meriti maturati sul campo».

Quindi nel suo sistema ideale farebbe totalmente a meno dei concorsi?

«Assolutamente no. Il corso-concorso della scuola superiore della pubblica amministrazione è un percorso consolidato di accesso alla dirigenza che garantisce un livello di qualità elevato. I due sistemi possono coesistere».

Quali sono le garanzie che la promozione a dirigente avvenga rispettando il criterio costituzionale dell'imparzialità e non sia invece frutto di cooptazione?

«Abbiamo costruito un percorso che garantisce un livello di trasparenza e imparzialità molto elevato. La procedura prevede l'osservazione delle performance del funzionario che si candida nei 5 anni precedenti. Inoltre, la valutazione della candidatura sarà fatta da una commissione composta da dirigenti generali estratti a sorte a cui si aggiungono due professionisti che possono venire anche dal privato e il presidente è esterno, a garanzia dell'imparzialità. Chi supera questo step si vedrà assegnato un incarico dirigenziale temporaneo. Poi ci sarà una nuova valutazione ed eventualmente un nuovo incarico temporaneo e solo alla fine, in caso di performance positiva, la promozione definitiva a dirigente. Insomma, un percorso lungo e sottoposto a continue verifiche: difficile immaginare che ci possa essere cooptazione. Anzi, credo che questo strumento sia più severo e selettivo del concorso, perché si valuta non solo quello che si sa ma anche la capacità di fare».

Ma se la selezione dei candidati ammessi alla procedura è svolta dal dirigente dello stesso funzionario, non c'è il rischio di scelte fatte anche in base alla sintonia caratteriale o politica?

«No, stiamo parlando di un percorso controllato. Il dirigente redige una relazione sul funzionario, poi sarà la commissione a selezionare. Nella valutazione si tiene conto dei giudizi espressi sulle performance dei candidati nei 5 anni precedenti. Valutazioni che il disegno di legge prevede siano riformate, per giungere a una verifica effettiva dei risultati rispetto a obiettivi misurabili che devono essere assegnati nel primo trimestre dell'anno. Un cambiamento radicale rispetto a ora, dove gli obiettivi e le verifiche sono meramente burocratiche, con la conseguenza che il 98% dei dipendenti riceve il voto massimo».

Ai voti sono legati anche i premi di risultato. La riforma prevede che il punteggio massimo sia limitato a una minoranza del personale.

«Sì, non si potrà attribuire la valutazione massima a più del 30% sia dei dirigenti che dei non dirigenti».