Corriere della Sera - Enrico Marro

Brunetta: fondi europei e privati. Mille miliardi per cambiare l'Italia

30 giugno 2021

Con «il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) e gli investimenti privati, ci sono mille miliardi per cambiare l'Italia» dice al Corriere il ministro Renato Brunetta. «Il mio sogno? Un patto sociale di coesione e crescita».

«Viviamo una stagione eccezionale, di grandi rischi e grandi opportunità. Abbiamo bisogno di una politica economica capace di tenere insieme crescita e giustizia sociale, innovazione e coesione, spiriti animali del mercato e regole. Occorre cioè che questa grande eccezionalità non si trasformi nel caos, in una bomba sociale, in un tutti contro tutti», dice il ministro per la Pubblica amministrazione, Renato Brunetta.

Perciò lei avrebbe voluto una proroga più ampia del blocco dei licenziamenti?

«Non è così. Nella cabina di regia convocata dal presidente Draghi si è discusso, ma alla fine abbiamo trovato una soluzione intelligente, nella quale mi riconosco. Il confronto con i sindacati ha poi perfezionato la ricetta, tenendo fermi i principi dello sblocco dei licenziamenti e della tutela dei settori e delle aziende più in crisi, ma anche responsabilizzando fortemente le parti sociali: sindacati e imprese sono stati invitati a usare tutta la cassetta degli attrezzi disponibile per la gestione degli esuberi e il governo monitorerà la situazione. Insomma, da un lato abbiamo evitato il "liberi tutti" e dall'altro che il sistema rimanesse bloccato».

Rimettere in moto il mercato, dice. Le imprese lamentano difficoltà nel trovare manodopera; si risolve sbloccando i licenziamenti o non è piuttosto il caso di aumentare gli stipendi, come dice Biden?

«Tornare al mercato è certamente una soluzione, ma non è sufficiente, perché sappiamo che il mercato del lavoro italiano non funziona, pandemia o non pandemia. Il Covid semmai ha irrigidito la situazione, l'ha incattivita. Per questo dico che servirebbe un nuovo Patto sociale, sul modello di quello per l'innovazione del lavoro pubblico che abbiamo già siglato il 10 marzo. So che c'è diffidenza verso la concertazione vecchio stampo. È comprensibile, ma la storia insegna che da noi le svolte epocali, dal congelamento della scala mobile con l'accordo di San Valentino del 1984 alla partecipazione all'euro, sono avvenute attraverso patti sociali volti a garantire insieme più crescita e più coesione. Anche oggi le riforme che abbiamo scritto nel Pnrr possono diventare realtà solo se c'è piena partecipazione delle parti sociali, delle Regioni e degli enti locali. Me lo dice la mia esperienza, soprattutto nel caso del Protocollo Ciampi-Giugni del 1993, arrivato a un anno dal Trattato di Maastricht. Oggi come allora serve una stagione di dialogo che abbia come obiettivo la nuova Italia nella nuova Europa. Occorre una piena integrazione tra pubblico e privato e il decentramento delle soluzioni nei territori per togliere spazio e terreno a chi vuole accentrare il conflitto».

Gli accordi cui lei fa riferimento avevano lo scopo di frenare la spirale prezzi-salari. Oggi invece c'è una transizione occupazionale da gestire senza ammortizzatori universali e politiche attive funzionanti.

«L'oggetto del patto sociale che serve oggi è chiaramente diverso. Si tratta di coniugare crescita del Pil e creazione di buona occupazione e buoni salari. La transizione digitale e quella ambientale sono passaggi epocali e possono fornire l'occasione per un incontro continuo e qualificato tra domanda e offerta di lavoro».

Quale sarebbe lo scambio alla base del patto?

«Lo stesso che ho cercato di attuare nel settore pubblico: più crescita, lavoro, più produttività, più salario. In Italia c'è una questione salariale frutto di bassa produttività e alta pressione fiscale. Alla semplificazione della burocrazia deve corrispondere quella del mercato del lavoro. E la maggiore produttività va distribuita con un'efficiente contrattazione decentrata».

Ma un patto così ambizioso come si concilia con il Pnrr che richiede tempi rapidi e certi di realizzazione?

«Il Pnrr prevede 5 anni, fino al 2026, per realizzare i progetti, e la loro implementazione può arrivare fino al 2030. Man mano che il Pnrr avrà successo l'Italia diventerà sempre più credibile e appetibile, sia per i capitali italiani sia per quelli esteri. Ai 250 miliardi di investimenti pubblici se ne potranno aggiungere almeno tre volte tanto da parte dei privati. Si potrebbe arrivare a più di milie miliardi in 5-8 anni. Facile immaginare cosa significherà in termini di crescita e occupazione, ma anche lo stress cui sarà sottoposto il mercato del lavoro. Il nuovo patto sociale dovrebbe in questo senso farsi carico di una nuova stagione di politiche del lavoro, di formazione professionale, di bilateralità, di distribuzione efficiente dei guadagni di produttività».

Tanti posti si dovrebbero creare anche nella pubblica amministrazione. Però non basta aver semplificato e digitalizzato i concorsi: quello per l'assunzione in 100 giorni di 2.800 tecnici al Sud si è rivelato piu difficile del previsto.

«Si, ma comunque si concluderà oggi, dunque in 100 giorni: una rivoluzione, se pensiamo ai tre-quattro anni del passato. Poi, certo, stiamo facendo una riflessione sulla difficoltà di trovare determinati profili. Finora è come se il pubblico impiego fosse stato in letargo. Adesso ci siamo svegliati, accorgendoci che dobbiamo correre e trovare professionalità per il Pnrr, ma anche per il ripristino efficiente del turnover. È un problema antico, che riguarda scuola, università, ordini professionali, regole e ascensori sociali. Perciò dico che occorre un grande patto di collaborazione tra pubblico e privato. Intanto, noi stiamo mettendo in piedi il portale del reclutamento sul modello Linkedin, sul quale da settembre tutti coloro che vorranno partecipare alla ricostruzione del Paese - giovani, neolaureati, dottori di ricerca, professionisti - potranno inserire il proprio curriculum, compresi gli italiani che lavorano all'estero nelle organizzazioni internazionali».

Governo a rischio se i 5 Stelle implodono?

«Nessuno sano di mente può solo lontanamente pensare di mettere in crisi un governo come quello Draghi che ha la missione di salvare l'Italia dal baratro».

Anche nel centrodestra c'è discussione. Silvio Berlusconi propone un partito unico. Matteo Salvini dice che può essere solo un obiettivo a lungo termine. Lei?

«Io sogno il partito del popolo, ovvero, seguendo la lezione del popolarismo europeo, un grande partito liberale di massa. E del resto, già oggi, io la mia casa ce l'ho: è il Ppe, il partito popolare europeo. E quando penso a questo rivedo la mia storia, le aspirazioni della mia vita, le battaglie della mia giovinezza di liberalsocialista».