“Al servizio esclusivo della Nazione", lectio magistralis di Zangrillo all'Università di Catanzaro

22 maggio 2023

Di seguito la lectio magistralis del Ministro per la pubblica amministrazione “Al servizio esclusivo della Nazione: il valore costituzionale del lavoro nelle pubbliche amministrazioni”, svolta oggi nell’Università Magna Græcia di Catanzaro (Aula Magna, Facoltà di Giurisprudenza):

"Saluto il Magnifico Rettore, Prof. Giovambattista De Sarro e il Direttore del Dipartimento di Giurisprudenza, Economica e Sociologia, Prof. Geremia Romano.

Saluto, poi, tutti gli studenti e i presenti a questo incontro.

Ringrazio, inoltre, il Prof. Antonio Viscomi per l’invito che ho accolto con immenso piacere ad avviare il programma di attività del Centro di Ricerca 'Digit Lab Law' che, attraverso il tema oggetto di questo incontro, mi offre l’occasione di condividere con tutti voi alcuni spunti di riflessione in merito alla collocazione istituzionale dell’amministrazione pubblica.

L’esigenza di separazione tra politica e amministrazione è affermata con forza dalla nostra Carta costituzionale che nel panorama europeo è una delle poche a richiamare espressamente la pubblica amministrazione in ben due articoli, gli articoli 97 e 98. Sul punto vorrei specificare che nel rapporto tra Costituzione e amministrazione la dottrina più attenta afferma una 'doppia coestensività' di entrambe: cioè, la Costituzione copre tutta l’amministrazione e l’amministrazione è presente in tutta la Costituzione. Infatti, oltre alle disposizioni sulla organizzazione rientrano anche tutte le norme che hanno la funzione di garanzia nei confronti dell’amministrazione e tutte le altre numerose norme che indicano lo scopo dell’attività amministrativa. La Costituzione stabilisce una serie cospicua di compiti della Repubblica che per essere realizzati necessitano di azioni concrete, cioè di amministrazione. Bisogna curare il paesaggio, tutelare la salute, assicurare l’ordine pubblico, garantire la concorrenza tra imprese e molto altro; per tutto questo occorre l’amministrazione, cioè porre in essere, da parte delle organizzazioni di governo della collettività, azioni concrete. Si tratta di un rapporto che oserei definire essenziale proprio perché l’amministrazione si prefigge l’obiettivo di 'curare, nella concretezza delle situazioni e dei rapporti con soggetti privati, l’interesse pubblico'.

Fermiamoci per un instante a pensare a tutti i servizi che le amministrazioni pubbliche, a partire dagli enti locali come Regioni e Comuni, sono riuscite a garantire, con grande impegno, durante la pandemia. Abbiamo raggiunto obiettivi inimmaginabili in poco tempo dimostrando che soprattutto nel momento del bisogno sappiamo unirci e dare il meglio di noi stessi. La pubblica amministrazione è anche questo. Sono 3,2 milioni di donne e uomini, 'volti della Repubblica' come li ha definiti il Presidente Sergio Mattarella, ossia le persone che, una ad una, ogni giorno, portano il loro contributo per rendere i nostri servizi più efficienti e per dare pienezza alle nostre libertà, ai nostri diritti civili e sociali. È proprio per questo motivo che dobbiamo poter contare su istituzioni solide capaci di contribuire al rilancio economico, sociale del Paese.

Non a caso gli articoli 97 e 98 della Costituzione sono posti come architrave su cui poggia le basi l’azione amministrativa e come innegabile presidio di un valore sostanziato da una tradizione di pensiero liberale che risale all’indomani dell’Unità d’Italia, di un’esigenza antica, che affonda le sue radici nella garanzia dei diritti individuali.

Con l’articolo 97, secondo comma, la Costituzione assegna un ruolo centrale alla legge nell’organizzazione dell’amministrazione pubblica vincolandola sia a porre discipline efficienti e funzionali, e quindi a garantire il 'buon andamento' sia ad assicurare 'l’imparzialità' dell’amministrazione. Nello specifico, l’articolo 97 richiede un’attività amministrativa efficiente, cioè in grado di realizzare il miglior rapporto tra mezzi impiegati e risultati conseguiti, ed efficace, capace di raggiungere gli obiettivi prefissati. A questo aggiungo che non possono effettuarsi in alcun modo discriminazioni tra soggetti non sorrette da alcun fondamento razionale e perciò arbitrarie. L’imparzialità è la traduzione sul piano amministrativo del generale principio di eguaglianza: non esclude che l’amministrazione operi per il perseguimento degli obiettivi fissati dagli organi di governo, ma impone che nel perseguire tali obiettivi l’amministrazione osservi la legge e operi una valutazione dei diversi interessi coinvolti nelle sue decisioni.

L’obiettivo perseguito dalla disciplina costituzionale si può riassumere nel principio sancito dall’articolo 98, primo comma, ai sensi del quale 'i pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione'. Tale 'fedeltà qualificata', se così la vogliamo definire, non interviene nei confronti dell’incarico di vertice politico ma opera nei confronti dell’amministrazione di appartenenza e di tutta la pubblica amministrazione in generale, stante la convergenza di tutte le amministrazioni nel comune obiettivo della corretta gestione della 'cosa pubblica' e, dunque, del principale fine della Nazione, cui fa riferimento l’esclusività sancita dall’articolo 98.

Per cogliere il pieno significato di quanto è fissato in tale principio è quanto mai necessario fare prima di tutto un passo indietro e concentrarsi sulle motivazioni che hanno condotto i nostri Padri Costituenti ad inserire nella Carta fondamentale i due articoli che ho poc’anzi citato.

Nella seduta del 14 gennaio 1947, durante la discussione sui rapporti di pubblico impiego, Costantino Mortati, con grande lungimiranza, spiegò ai suoi Colleghi come la necessità di includere nella Costituzione alcune norme riguardati la pubblica amministrazione sorgesse per due esigenze. La prima è quella di 'garantire una certa indipendenza' ai funzionari dello Stato per avere un’amministrazione 'obiettiva della cosa pubblica e non un’amministrazione dei partiti'. La seconda esigenza riguarda la 'responsabilità' dei pubblici funzionari.

Ho voluto riportarvi questo passaggio proprio perché si tratta di questioni affrontate e dibattute 75 anni fa che ancora oggi dimostrano la loro stretta attualità nel contesto istituzionale: mi riferisco, principalmente, al principio della responsabilità che assume un ruolo sempre più centrale all’interno delle strutture organizzative, centrali e territoriali, anche alla luce degli obiettivi che l’Europa ci affida attraverso il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza.

Quando incontro dipendenti e dirigenti delle amministrazioni mi soffermo sempre sul fatto che essere responsabili vuol dire innanzitutto far accadere le cose, agire con tempestività, guidare le persone promuovendone la crescita. Tutte capacità fondamentali per la gestione dei processi e la modernizzazione delle strutture organizzative, per lo sviluppo e la valorizzazione del capitale umano con il fine, innanzitutto, di premiare il merito.

Il merito appartiene alla vita di tutti noi e penso che una corretta declinazione di tale valore sia un elemento essenziale per la crescita di voi studenti, dei vostri professori, così come di chi lavora nella pubblica amministrazione. Valutare il merito - attraverso un esame, un colloquio, una prova scritta - significa misurare la capacità di poter esprimere le vostre virtù, il vostro talento. Significa prendersi cura delle persone. È un’attenzione che gli insegnanti devono agli studenti, gli amministratori ai cittadini e i vertici della pubblica amministrazione, in primis i dirigenti, a tutti i dipendenti. Quando sarete chiamati ad assumere dei ruoli chiave nella Pubblica amministrazione, non sarà sufficiente avere una adeguata conoscenza della materia, ma dovrete agire con tempestività, guidare le persone promuovendone la crescita, generare l’ottimismo favorendo lo spirito di squadra. Questo è il merito.  

È, dunque, con questo spirito 'innovativo' - se così lo vogliamo definire - che dobbiamo approcciare alla lettura dell’articolo 98 della Costituzione. Negli anni si sono andate a stratificare diverse questioni interpretative sottese al significato dello stesso articolo e alle possibili implicazioni giuridiche che da tale disposizione possono derivare.

Secondo il primo di questi orientamenti, il principio sancito dall’articolo 98 è da considerarsi parte integrante dell’imparzialità dei pubblici impiegati prevista all’articolo 97. Altra parte della dottrina ritiene, invece, che il dovere posto a carico del pubblico impiegato di operare 'al servizio esclusivo della Nazione' altro non sia che una mera specificazione del dovere di fedeltà alla Repubblica previsto a carico di tutti i cittadini dall’articolo 54 della Costituzione. Infine, secondo un terzo orientamento, il richiamo al servizio esclusivo della Nazione è strettamente legato al progresso materiale o spirituale della società, previsto all’articolo 4 della Costituzione. In tale contesto, il lavoro svolto dal funzionario pubblico è assimilabile a quello del cittadino che svolge attività private.

Tutti e tre questi orientamenti devono, a mio avviso, essere letti e interpretati nel più ampio contesto delle trasformazioni a cui l’amministrazione è stata progressivamente sottoposta e che vedono nella valorizzazione del capitale umano un asset strategico a cui non possiamo rinunciare. Mi riferisco, in modo particolare, alla nuova fase che si è andata a dipanare nel corso degli anni Novanta e i cui effetti si sono sviluppati negli anni successivi anche nel rapporto tra diritto amministrativo e diritto del lavoro.  

Il primo fondamentale momento di riforma è segnato dall’approvazione della legge delega n. 421 del 1992 e dall’entrata in vigore del successivo decreto legislativo n. 29 del 1993. Il legislatore del 1993 - stiamo parlando quindi di 30 anni fa - aveva previsto una nuova visione del rapporto esistente tra dipendente pubblico ed amministrazione e, in particolare, per la dirigenza statale, una nuova autonomia tra il rapporto di ufficio, che riguarda la relazione del dipendente con l’amministrazione di appartenenza e, il rapporto di servizio, che investe la dimensione più strettamente lavorativa. Un primo ed importantissimo elemento di cambiamento è rappresentato dalla disciplina privatistica del rapporto di lavoro dei pubblici dipendenti. Un ruolo di primo piano è stato, infatti, assegnato ai dirigenti pubblici, considerati in una veste profondamente rinnovata che prevede un nuovo assetto giuridico della responsabilità dirigenziale, destinato all’osservanza delle direttive e degli obiettivi assegnati.

Una tendenza, questa, destinata ulteriormente a consolidarsi nel corso delle successive riforme avviate nella seconda metà degli anni Novanta: la c.d. Legge Bassanini del 15 marzo 1997, n. 59 attribuirà, infatti, alla dirigenza un vero e proprio dominio sull’attività organizzativa dotando i dirigenti di una adeguata autonomia, responsabile dei risultati conseguiti nello svolgimento dei propri compiti. I decreti attuativi della Legge Bassanini hanno completato il processo di 'privatizzazione' del rapporto di lavoro della dirigenza statale, già avviata dal decreto legislativo n. 29 del 1993, prevedendo una netta distinzione tra indirizzo politico-amministrativo e funzione di gestione e di svolgimento delle attività amministrative. Tale disciplina è stata, poi, trasfusa nel decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 allo scopo di raccogliere in un testo unico le norme che regolano i rapporti di lavoro dei dipendenti pubblici.

In tale contesto normativo - che ho voluto sinteticamente richiamare - la metamorfosi delle organizzazioni amministrative è destinata rapidamente a ripercuotersi sullo status dei dipendenti pubblici. La conversione dell’azione amministrativa ai valori 'manageriali' è, infatti, rivolta a produrre conseguenze particolarmente incisive anche dal punto di vista dell’orientamento del valore costituzionale del lavoro nelle pubbliche amministrazioni. A questo aggiungo, peraltro, che è quanto mai necessario intervenire per concretizzare, o se preferite 'mettere a terra', quanto a livello normativo è stato già scritto. Non parlo infatti di riforme di sistema ma bisogna intervenire con interventi chirurgici che sappiano mettere in pratica quel dinamismo all’interno delle amministrazioni pubbliche che, purtroppo, molto spesso, è rimasto solo sulla carta.

Vi faccio un esempio concreto: nel dibattito pubblico si parla molto di innovazione digitale. Vorrei innanzitutto sgombrare il campo da alcuni equivoci: innovare digitalmente le nostre organizzazioni non vuol dire soltanto fare fronte alla necessità di acquisire dotazioni informatiche nuove e aggiornate. Questa è la parte più semplice della trasformazione digitale: basta saper investire le risorse economiche. La parte, invece, molto più complessa, quella che non si può acquistare ma che bisogna conquistare giorno per giorno, è la capacità di coinvolgere le persone in un percorso molto più articolato che significa non soltanto dotarle delle competenze tecniche, che servono per utilizzare gli strumenti, ma soprattutto superare l’impasse del cambiamento.

Un caso banale: la riduzione dei tempi di una procedura per mezzo della digitalizzazione della raccolta documentale. Attenzione: non parlo della scansione di un documento cartaceo compilato a penna, parlo di una procedura nativa digitalizzata. Ecco, questa riduzione di tempi è una azione concreta che impatta in primo luogo sulla organizzazione interna dell’amministrazione interessata e quindi sulle singole persone che la compongono e sui rapporti che tra di esse e tra loro e i vertici amministrativi si sviluppano.

Individuare un obiettivo, calarlo nel contesto lavorativo condividendolo con la propria organizzazione, e quindi con le sue persone, significa definire un asset strategico sul quale si combinano il soddisfacimento di esigenze dall’esterno, come l’erogazione di un servizio o la raccolta di documenti propedeutici, e lo sviluppo del capitale umano dell’amministrazione.

Una nuova procedura telematica o un nuovo applicativo digitale, ad esempio, influiranno sull’output e quindi sugli outcome ma comporteranno necessariamente innovazioni sulla valorizzazione delle persone, sulla loro crescita individuale e collettiva all’interno dell’organizzazione.

In tale ottica, il rapporto tra dipendente pubblico e 'Nazione' non può rimanere strettamente confinato nell’articolo 98 ma, anzi, coinvolge l’intero impianto della Costituzione. Tale disposizione, oggi ancora di più, segna il passaggio da una amministrazione ottocentesca, basata sull’imperium, ad una basata sul concetto di responsabilità e connotata a soddisfare i diritti sociali e gli interessi della collettività. In questo modo il 'servizio alla Nazione' acquista un valore non di 'comando' ma di 'valorizzazione' delle competenze che ogni amministrazione deve sapere fare proprio per innescare quel processo di modernizzazione atteso, ormai, da troppo tempo.

A proposito di modernizzazione, la sfida più grande che abbiamo è quella di rendere attrattiva la pubblica amministrazione soprattutto per voi giovani, garantendo una prospettiva di crescita e di valorizzazione. Ciò che serve è coinvolgere le migliori competenze per favorire un percorso di rinnovamento e miglioramento della macchina amministrativa in linea con le esperienze più avanzate di altri Paesi europei. Dal punto di vista del reclutamento sono in cantiere un insieme di proposte finalizzate a ridurre al minimo i 'tempi morti' delle procedure concorsuali e per coniugare le esigenze di trasparenza ed imparzialità che devono connotare l’operato della pubblica amministrazione, con quelle di dare tempi certi ai candidati che intendono misurarsi con i concorsi per il pubblico impiego.

Vi dico questo perché non è più possibile attendere mesi, o in alcuni casi anni, per conoscere l’esito di un concorso pubblico. Da questo punto di vista abbiamo compiuto dei passi in avanti, basti pensare che dopo il blocco del turn over - che ha visto i nostri uffici impoverirsi di circa 300mila persone - e l’uscita dalla pandemia, la ripresa delle attività concorsuali per l’accesso alla pubblica amministrazione ha segnato, grazie alla digitalizzazione delle procedure, una durata media dei concorsi che è passata da 786 giorni delle procedure bandite nel 2019 a 189 giorni nel 2021 fino a 169 giorni registrati nel 2022. Da fanalino di coda nel 2019 siamo riusciti a collocarci nella media dei Paesi europei.

Questo, però, non basta. Dobbiamo lavorare per garantire che lo svolgimento delle procedure concorsuali sia organizzato in modo efficiente ed efficace. Da questo punto di vista il Portale del reclutamento, inPA, rappresenta uno strumento innovativo, dove sono pubblicati i bandi dei concorsi, le comunicazioni relative alle fasi concorsuali, gli avvisi di mobilità nonché per la selezione di professionisti ed esperti, attraverso il quale le amministrazioni centrali e locali possono selezionare le professionalità necessarie a rispondere in modo veloce alle esigenze di cittadini e imprese.

Una soluzione digitale all’avanguardia che risponde in termini strategici, organizzativi e operativi anche alla necessità di rendere sempre più efficiente il sistema dei concorsi pubblici, fornendo le competenze necessarie per affrontare le sfide del presente e del futuro.

A proposito di competenze, in una stagione in cui i mutamenti sono così repentini e le novità generano senso di disorientamento, soprattutto tra i più giovani, la formazione rappresenta la bussola da seguire.

Ed è proprio attraverso il motore dell’insegnamento che generiamo e custodiamo sapere, abbattiamo le paure, i pregiudizi e soprattutto consentiamo di approfondire le conoscenze in ogni campo.

È, dunque, evidente come le competenze siano l’elemento decisivo nel percorso di modernizzazione che stanno attraversando le amministrazioni pubbliche, centrali e territoriali.

Per rispondere alle nuove sfide previste, in modo particolare, dal PNRR, abbiamo bisogno di nuove conoscenze. In questo contesto, il sistema universitario acquista una rilevanza fondamentale nel percorso di formazione di coloro che sono chiamati a gestire importanti trasformazioni e transizioni.

Abbiamo bisogno di far maturare le condizioni - contrattuali, di sviluppo della carriera, di qualità del contesto lavorativo, di orgoglio di appartenenza - per una pubblica amministrazione attrattiva, in grado di coinvolgere le energie migliori del Paese.

Questo ambizioso obiettivo lo possiamo raggiungere innescando una innovazione dal punto di vista culturale e organizzativo. Se poniamo l’accento sulle competenze sarà agevole per tutti noi notare come le molteplici sfide che oggi siamo chiamati ad affrontare richiedono una maggiore presenza di giovani in grado di maneggiare saperi e conoscenze eterogenee, trasversali e mutevoli.

In questa prospettiva è fondamentale assicurare il necessario ricambio generazionale e mettere in connessione vecchie e nuove competenze per creare quel mix che consenta di disporre di solide esperienze ma al tempo stesso di poter investire su nuove energie.

Oggi più che mai questo approccio operativo è necessario. La pubblica amministrazione ha bisogno di persone che non dovranno soltanto avere una adeguata conoscenza della materia, ma anche di tutte quelle capacità che fanno davvero la differenza. Al 'sapere' dobbiamo aggiungere il 'saper fare' e cioè acquisire e organizzare informazioni, risolvere problemi e soprattutto collaborare, relazionarsi, assumere iniziative, lavorare in team, saper ascoltare gli altri.

In questi mesi ho incontrato persone qualificate e molto preparate a livello tecnico ma le hard skill, da sole, non sono più sufficienti per fare fronte alle sfide che abbiamo davanti a noi. La dirigenza, infatti, deve poter disporre anche e soprattutto delle soft skill per creare 'risonanza', cioè quella sintonia tra persone che permette di massimizzare l’output organizzativo, creando un ambiente di lavoro intriso di fiducia, comunanza d’intenti e condivisione di valori.

Proprio sul tema della formazione, nell’ottica di rafforzamento dello sviluppo del capitale umano, ho adottato una direttiva, indirizzata a tutte le amministrazioni pubbliche, con il fine di triplicare, almeno, il tempo medio dedicato alla formazione - che oggi è di appena 1 giorno all’anno per dipendente - e che la lega a vantaggi professionali e percorsi di carriera. Allo stesso tempo stiamo potenziando la nuova piattaforma Syllabus, il portale della formazione dedicato ai 3,2 milioni di persone che lavorano nella PA che si prefigge l’obiettivo di abilitare la transizione digitale, ecologica-energetica e amministrativa quale leva per migliorare i servizi a cittadini e imprese. Un tassello fondamentale da cui parte la rinnovata strategia di investimento sulle persone in senso ampio e duraturo, che consente ai dipendenti abilitati dalle singole amministrazioni di accedere, in prima battuta, all’autovalutazione delle proprie competenze in modo tale da seguire un percorso formativo ad hoc anche attraverso comunità di pratica. 

Tutte queste iniziative devono contribuire a sviluppare una crescita che non deve essere soltanto conoscitiva, ma soprattutto in termini di 'valore' umano.

Ecco perché un nuovo modello di pubblica amministrazione ha bisogno del contributo di tutti, a partire dalle Università. È necessario condividere obiettivi sfidanti ed avere consapevolezza che il vero cambiamento risiede nei nostri comportamenti, nelle nostre azioni quotidiane, nei compiti che svolgiamo. Non a caso Darwin terorizzava che 'a sopravvivere non sono gli esseri più forti o quelli più intelligenti, ma quelli che sanno adattarsi meglio al cambiamento'.

La pubblica amministrazione ha proprio bisogno di voi per essere attrattiva e acquisire all’interno delle proprie organizzazioni giovani figure competenti da valorizzare nel corso della vita lavorativa.

Proprio per questo motivo ritengo che l’impostazione seguita dal Centro di ricerca 'Digit Lab Law' rappresenti un’occasione importante per introdurre nel panorama universitario un’offerta formativa capace di coniugare le competenze del settore pubblico con quelle provenienti dal settore privato, le hard skill, e quindi le competenze, con le soft skill, le capacità.

Una contaminazione necessaria affinché l’universo della formazione non resti confinato all’interno di precisi schemi ma, al contrario, assuma un carattere flessibile e trasversale. Solo in questo modo si contribuisce ad arricchire il bagaglio non solo culturale e professionale, ma anche personale di tutti i soggetti che, a vario titolo, intendono svolgere funzioni pubbliche proprio come vuole la nostra Costituzione: 'al servizio esclusivo della Nazione'.

Buon lavoro a tutti e in bocca al lupo a voi studenti!".