La Stampa - Marco Zatterin

Brunetta: “Voto anticipato una roba da Italietta”

13 maggio 2022

Renato Brunetta risponde con una domanda: «E se la smettessimo di farci del male?». Ci arriva ragionando sugli argomenti di un Carlo Cottarelli persuaso che sia meglio votare in autunno perché il governo Draghi ha esaurito la missione. Pensiero intrigante, da un lato, ma il ministro per la Pubblica amministrazione non trova altro se non dissentire. «Non conviene - assicura - votare in autunno aprirebbe uno scenario distopico».

Davvero?

«Fermo restando che la decisione di sciogliere le Camere è affidata dalla Costituzione al presidente della Repubblica, l’approccio di chi considera più opportuna una crisi di governo è superficiale, inattuale e inconferente rispetto alla gravità del contesto internazionale e alla responsabilità che la premiership di Draghi ha assunto per l’Europa, prima ancora che per l’Italia. Ragionare di voto nel pieno di una crisi geopolitica e di una guerra che ci riporta al tempo del conflitto tra democrazie e regimi, mi pare un po’ immaturo».

Immaturo? Davvero?

«Sarebbe la terza crisi in quattro anni e farebbe ripiombare l’Italia nell’instabilità».

Qual è lo scenario distopico che immagina?

«Togliere dal campo il “fattore Draghi” per l’Italia significherebbe perdere la faccia, smarrire la credibilità e la reputazione che il premier e il suo governo, di cui mi onoro di far parte, hanno riconquistato sullo scacchiere internazionale e sui mercati. Vorrebbe dire non ottenere la rata di 20-25 miliardi del Pnrr di dicembre 2022, e non è vero che il problema si ripresenterebbe per il primo semestre 2023, perché – come ci ricorda proprio l’Osservatorio dei Conti pubblici diretto da Cottarelli – il totale delle milestone e dei target previsti per l’Italia da gennaio a giugno del 2023 è significativamente più basso (circa 60 adempimenti) di quello dei quattro semestri precedenti (una media di oltre 80), non a caso. Far cadere il governo implicherebbe restare privi di voce in Europa durante una delicata fase costituente».

Un draghista convinto, lei.

«La leadership di Draghi in politica estera è sotto gli occhi di tutti: da un lato, ha saputo saldare l’asse con Macron per costruire una nuova Unione europea che sia più forte e più sovrana, in particolare sul fronte dell’energia e della sicurezza; dall’altro lato, con la visita a Washington, rilanciando sull’esigenza di un negoziato che porti alla pace, ha dimostrato a Biden di essere un partner autorevole, oltre che affidabile, e non schiacciato sulle posizioni americane. Oggi Draghi è il miglior interprete dei valori euro-atlantici e il miglior garante degli interessi europei, e dunque italiani. Farne a meno, in un momento in cui si sta ridefinendo il paradigma degli assetti geopolitici globali, sarebbe un’azione di masochismo, l’innesco di un nuovo ciclo di instabilità. Torneremmo all’Italietta inaffidabile d’un tempo».

Conte intanto sfidato il premier. Auspica un chiarimento perché dice che il governo non ha mandato politico.

«Conte ha perfettamente ragione, solo che sbaglia sede. Serve un chiarimento sulla guerra non in Parlamento rispetto alle scelte del governo, ma all’interno del M5S, visto il caos che il Movimento esprime in politica estera. A parte il bravo Di Maio».

L’argomento di Cottarelli è che l’esecutivo ha esaurito i suoi compiti di traghettatore.

«L’attuale governo non è nato, nelle intenzioni del presidente Mattarella, come un esecutivo di scopo o a termine, né Draghi ha chiesto a questo titolo la fiducia del Parlamento. La missione riformista dell’esecutivo è un autentico processo trasformativo. Non comprendo i giudizi al ribasso sui compromessi raggiunti dal governo. Chi li formula ha forse la certezza che dopo le elezioni il Parlamento avrebbe la forza di esprimere maggioranze coese e compatte?»

Lei che dice?

«Non mi pare che l’attuale quadro politico, ancora in piena evoluzione, offra garanzie di governabilità. Una crisi di governo in estate aprirebbe una finestra di soli tre mesi, da luglio a settembre, per formare programmi e alleanze e per adeguare al censimento 2021 della popolazione i nuovi collegi elettorali, ridisegnati in base al taglio dei parlamentari. Dopo il referendum sulla riduzione dei seggi, c’è una questione, del tutto ignorata, che riguarda gli equilibri istituzionali e la stessa legge elettorale».

Ignorata?

«È un punto delicatissimo e di imprescindibile attualità. Varrebbe la pena di spendere questi mesi per tentare di trovare un accordo su una legge elettorale proporzionale con sbarramento, proprio per le stesse ragioni di governabilità addotte dai fautori del voto a ottobre. Il nostro bipolarismo “bastardo” è fonte di opportunismi e instabilità. Se è vero che maggioranze raccogliticce non sono in grado di esprimere coesione, è molto più democratico andare al voto nella chiarezza delle posizioni distinte di ciascun partito».

La maggioranza è coesa? A vedere lo scontro su balneari e fisco non sembra. Per non parlare delle armi.

«Quello è fermarsi a guardare il dito. La luna ci dice, invece, che nei suoi 15 mesi di vita il governo Draghi ha deliberato in Consiglio dei ministri 71 disegni di legge, di cui 56 decreti-legge, per fare le riforme e affrontare le emergenze, sempre dalla parte di famiglie e imprese. Il Parlamento ha approvato 40 provvedimenti di origine governativa, lavorando a pieno ritmo e risolvendo anche passaggi complicati. Sulla delega fiscale l’intesa è stata trovata, dopo un confronto magari acceso, ma senza chiusure».

Ora dirà che anche sulla riforma della concorrenza sono rose e fiori?

«Sulla concorrenza il percorso è ancora accidentato, ma il passaggio parlamentare non può che essere visto come un arricchimento dei contenuti della delega, non certo come un potenziale elemento di crisi. La responsabilità dimostrata dai partiti della maggioranza non verrà meno. Quanto alle armi, non mi pare che l’agitarsi degli opportunismi miopi di destra e di sinistra possa essere un motivo di preoccupazione: non credo affatto che posizioni di pacifismo ideologico sul conflitto in corso possano restituire ai populismi fiato nella democrazia italiana. Anzi, più dura l’esperienza del governo Draghi, più cresce nel Paese una coscienza civile immune a quelle sirene».

Guardiamo avanti. Cosa vede l’economista. Recessione, stagflazione o andamento lento?

«Nessuna delle tre opzioni. L’economia italiana tiene. Basta guardare i dati sulla produzione industriale e sul turismo, o anche il tasso di occupazione salito al 59,6%, un record storico per il nostro Paese. Da inguaribile ottimista, sono allergico ai catastrofismi. Per il principio economico delle profezie autoavveranti, il pessimismo programmatico è un atteggiamento che l’Italia non si può proprio permettere».

Lo spread sta salendo. Rischiamo di essere penalizzati in caso di crisi?

«Chiariamo prima un punto: la salita dello spread in queste settimane non può essere minimamente attribuita al governo Draghi. Chiunque abbia familiarità con i numeri della finanza sa che il rendimento del decennale italiano da inizio anno (pre stretta monetaria, pre guerra) è salito dall’1,1% al 2,7%, circa il 140% in più. Lo stesso titolo decennale per la Spagna è passato dallo 0,5% all’1,9%, ossia il 280% in più, un aumento doppio di quello italiano. Ironicamente, effetto Draghi per la Spagna? E poi, se la salita dello spread fosse un problema legato all’esecutivo, che senso ha proporre una crisi di governo, che quasi certamente ci porterebbe all’esercizio provvisorio di bilancio, alimentando ulteriore incertezza sui conti pubblici italiani? La verità è che non si vedono all’orizzonte scudi più efficaci di Draghi, anche contro il rialzo dello spread. Dato il momento, del tutto imprevedibile, non potevamo essere in mani migliori».

Intanto c’è la porta aperta allo scostamento. Un guaio?

«Aumentare ulteriormente il deficit pubblico attraverso un nuovo scostamento di bilancio plurimiliardario che non sia supportato e coordinato a livello europeo darebbe un segnale negativo ai mercati finanziari. Quello, cioè, che l’Italia non è capace di continuare nel percorso virtuoso di risanamento dei conti pubblici. È l’Europa il nostro riferimento, soprattutto nel mezzo di una fiammata inflazionistica che sta investendo tutta l’Eurozona e alla vigilia di una politica monetaria più restrittiva da parte della Bce. Il sentiero è stretto, non possiamo più procedere in solitudine».