Il Sole 24 Ore - Gianni Trovati

La nuova Pa apre le porte ai giovani

1 agosto 2021

La Pubblica amministrazione si prepara ad affrontare la fase post pandemica e la nuova sfida dettata dai finanziamenti del Recovery fund. Per farlo «servono decine di migliaia di giovani e professioni oltre ai 100mila del turn over», spiega a Il Sole 24 Ore il ministro per la pubblica amministrazione Renato Brunetta. «Con le alte professionalità creiamo percorsi di crescita e di carriera. Rigenerare la macchina amministrativa - dice - è la chiave del nostro Rinascimento post pandemico». Per questo sforzo a settembre i dipendenti pubblici dovranno tornare in presenza negli uffici. Sul caso Montepaschi-UniCredit, il ministro dice: «Questo non era il momento. Si aprano le segrete stanze del Cda e se ne discuta in Consiglio dei ministri».

«La Pubblica amministrazione finora era percepita come un ripiego o, peggio, un ammortizzatore sociale. Ma adesso la musica è cambiata. Rigenerare la macchina amministrativa, anche agli occhi della Commissione Ue, è la chiave del nostro rinascimento post-pandemico. Siamo entrati in un’altra Italia, dentro un’altra Europa. E la Pa ha bisogno di tutti: ha bisogno di 100mila persone all’anno del turn over ordinario, e in aggiunta di decine di migliaia di ingegneri, informatici, professionisti della contabilità e della rendicontazione, giovani da affiancare a figure più mature. Il tutto in una concorrenza difficile, e benvenuta, con un mercato privato rivitalizzato dallo stesso Pnrr, perché le semplificazioni normative e il nuovo clima del Paese riaccenderanno gli investimenti privati, e quindi l’offerta di lavoro nelle aziende. In cinque anni si possono mobilitare fino a mille miliardi tra fondi pubblici e privati». Con la conversione del decreto sul reclutamento, che ora attende solo la conferma alla Camera, si è chiuso il primo cantiere delle norme per adeguare le capacità della Pa alle esigenze del Recovery Plan. Ma questa è solo la premessa per attuare il Pnrr. E il ministro per la Pubblica amministrazione Renato Brunetta lo sa bene.

Oltre al Dl Reclutamento, la settimana ha visto la complicatissima mediazione sulla giustizia e il rinvio delle riforme di fisco e concorrenza. Il calendario del Pnrr già vacilla per la maggioranza troppo composita?

Le dispiace se ribalto la sua narrazione? Quanto è accaduto in questi giorni dimostra l’esatto contrario rispetto al suo legittimo scetticismo. Questa cordata, così composita, ha raggiunto la cima. Una parete aspra. Pareva impossibile farcela tutti insieme. Ci siamo riusciti. Gliene toccano altre. Ma quella su cui Draghi ha piantato la bandierina era la più ostica. È stata una bella impresa, ma non è la prima. Il Governo ha dimostrato di saper mantenere gli impegni, approvando le riforme secondo il cronoprogramma negoziato con la Commissione. E ce l’ha fatta persino su temi divisivi come la giustizia. La delega sulla giustizia penale ha visto la maggioranza compattarsi intorno a una mediazione più che ragionevole, vista l’ampiezza della riforma. La delega sul processo civile è all’esame del Senato. A settembre vareremo la legge sulla concorrenza e la delega sull’anticorruzione, su cui siamo già a buon punto. Come ha anticipato la ministra Cartabia, arriveranno le riforme del Csm e della crisi d’impresa. Parliamo di norme che hanno un immediato impatto sulla vita dei cittadini, delle famiglie, delle aziende. Il Governo ha provato sul campo stabilità, affidabilità, serietà, intelligenza. E il Parlamento ha risposto bene. Il Paese è stato credibile.

Con il semestre bianco che inizia il 3 agosto e le amministrative in autunno non teme il «liberi tutti»?

Chi sarebbe così autolesionista da lasciare l’Italia senza Mario Draghi, il leader più autorevole del mondo? Stiamo vivendo una fase di boom economico, senza ancora aver ricevuto un euro dei circa 200 miliardi del Next Generation Eu. A luglio gli indici di fiducia delle famiglie e delle imprese hanno di nuovo battuto le attese degli analisti. L’Istat ha appena certificato una crescita del +2,7% del Pil nel secondo trimestre. Una performance migliore di Germania (+1,5%) e Francia (0,9%). Il nostro Paese si è rivelato la locomotiva della ripresa europea nella prima parte dell’anno e potrebbe chiudere il 2021 con una crescita intorno al +6%. Gli italiani si rendono conto del fatto che quello a cui stiamo assistendo è un miracolo fiorito dalla sciagura e non perdonerebbero chi provasse a rovinarlo. Il «momento Draghi» è il game changer per l’Italia. Siamo a un bivio: non dobbiamo farci del male.

Ma le contorsioni politiche si aggiungono alle incognite delle varianti. Il mix non è pericoloso?

I dati Istat devono suonare come un monito. Per tutti. Guai a sedersi sugli allori o a sbagliare diagnosi. Il Paese ha ripreso a crescere grazie a due fattori, che sono due facce della stessa medaglia: le vaccinazioni e le riforme di Draghi e del suo Governo. Vaccini e riforme sono l’antidoto migliore contro l’incertezza causata dalle varianti. Sono la nostra assicurazione sul futuro. Ma bisogna muoversi subito: per essere sostenuti, i ritmi di crescita che stiamo registrando richiedono un Paese che, seppur con tutte le precauzioni, si riprenda la sua normalità. Da settembre i nostri ragazzi devono rientrare a scuola e la Pa deve tornare a lavorare in presenza, al massimo della sua potenzialità, perché un Paese che cresce del 6% ha bisogno di una Pa a pieni giri.

Sulla Pa, a marzo ha lanciato una sorta di alfabeto della riforma. A che punto siamo?

A rileggere le linee programmatiche che avevo presentato alle Camere il 9 marzo resto piacevolmente stupefatto: cinque mesi dopo abbiamo di fatto realizzato le prime tre lettere del nuovo alfabeto. L’«accesso» è stato rivoluzionato prima con la riforma dei concorsi pubblici ordinari – sbloccati, semplificati e digitalizzati – e poi con l’approvazione delle modalità fast track per il reclutamento dei profili Pnrr. La «buona amministrazione» è stata perseguita con il decreto semplificazioni: addio ai colli di bottiglia, alle autorizzazioni che durano anni, ai ricorsi che bloccano le opere. Al «capitale umano» pubblico abbiamo garantito ricambio, formazione, mobilità, valorizzazione del merito. Tutto questo è prodromico alla «digitalizzazione». Adesso siamo all’ultimo miglio, quello della messa a terra dei progetti e dell’appropriazione collettiva del Pnrr, che devono andare di pari passo. L’enorme dispiegamento di energie, di risorse e di interventi dai palazzi deve arrivare nelle case di ogni cittadino, nelle sedi di ogni impresa, nelle aule di ogni università.

Come interviene in questo scenario il decreto Reclutamento?

Con il decreto accendiamo finalmente la vera scintilla della ripartenza, realizziamo la scommessa in cui ho creduto sin dal primo momento del mio ritorno a Palazzo Vidoni: investire nel capitale umano. Si possono scrivere mille riforme, ma se non si restituiscono valore, dignità, competenze e autorevolezza alle donne e agli uomini delle amministrazioni, l’Italia è destinata ad arenarsi. Il Patto del 10 marzo con i sindacati è stata la cornice necessaria per giungere fin qui. Il decreto interviene su due aspetti. Innanzitutto ci occupiamo dei 3,2 milioni di dipendenti pubblici già in servizio: a loro assicuriamo progressioni di carriera più fluide, ancorate a meccanismi di valutazione in linea con i migliori standard europei. Superiamo i tetti sul salario accessorio, per premiare la componente più legata alla produttività. Puntiamo sulla formazione, anche con il rafforzamento della Sna: in autunno lanceremo un grande piano, partendo dalle competenze di base necessarie per affrontare le transizioni amministrativa, digitale ed ecologica. Ma il Pnrr ha bisogno di una spinta in più, che vada oltre i circa 100mila nuovi ingressi legati al ripristino del turnover al 100%. Abbiamo previsto le dotazioni organiche necessarie alla governance del Piano e alle sei missioni. Soprattutto, abbiamo fornito alle amministrazioni un ampio ventaglio di strumenti per dotarsi del personale di cui avranno bisogno per i progetti: contratti di apprendistato per i più giovani, assunzioni a tempo determinato, incarichi professionali con affidamenti trasparenti e rigorosi, corsie ad hoc per chi ha un dottorato di ricerca o un master universitario o un’esperienza almeno triennale in organismi nazionali o internazionali. La rivoluzione è che, insieme alle norme, attiviamo lo strumento che le rende operative.

In che senso?

Approvato il decreto semplificazioni, grazie allo straordinario lavoro condiviso con i ministri Giovannini, Colao, Cingolani e Franceschini, abbiamo concluso la collaborazione con Regioni, Anci e associazioni sul modulo unico per la Cila per accedere al superbonus 110%, finora bloccato proprio dall’eccesso di burocrazia. La Conferenza Unificata darà il via libera il 4 agosto. Stiamo lavorando ad analoghi moduli per le autorizzazioni per la banda ultra larga e il silenzio assenso. Il Portale del reclutamento sarà online per l’inserimento dei curricula già dalla pubblicazione del decreto in Gazzetta, la prossima settimana. Dall’autunno passeranno da lì i bandi e gli avvisi Pnrr e le prime selezioni, a regime anche quelli dei concorsi ordinari. Invito tutti a candidarsi: ognuno potrà diventare protagonista della ricostruzione del Paese.

I concorsi recenti, come quello per il Sud, sembrano però indicare che le norme non bastano da sole.

Tutti i concorsi che si stanno svolgendo in queste settimane in Italia, ma anche all’estero, stanno avendo risultati simili: bassa affluenza e bassa idoneità. Ma, appunto, la musica della Pa ora è cambiata. La nostra rivoluzione gentile non è un maquillage: è una ricostruzione dell’Italia dalle fondamenta. Per questa ragione i decreti sulle semplificazioni e sul reclutamento erano indicati come la prima milestone del Pnrr. Abbiamo adeguato l’offerta di lavoro pubblico alla modernità, sono certo che la domanda arriverà, nonostante la concorrenza benvenuta del privato, che si è risvegliato.

Su che basi è così ottimista?

In tutti i tornanti della nostra storia, la Pa ha giocato un ruolo chiave. È successo dopo l’Unità d’Italia, quando in un Paese pressoché analfabeta, rurale e frammentato, gli uffici pubblici disseminati sui territori hanno cambiato il tessuto sociale e il paesaggio delle città, contribuendo all’alfabetizzazione e all’aumento del benessere. È accaduto ancora nel dopoguerra, dove la Pa, con la sua rete di servizi, ha plasmato il carattere del Paese, portando posti di lavoro e offrendo nuove possibilità a milioni di italiani. Oggi siamo di nuovo davanti a una svolta. Una Pa più semplice, alleata di cittadini e imprese, non è una chimera.

Sul piano pratico, però, l’offerta economica della Pa non è esattamente attraente per i profili più qualificati.

Abbiamo rivisto l’impianto del concorso Sud, che era stato definito nella legge di bilancio 2021 del precedente Governo, in modo da poter allargare la partecipazione anche a giovani privi di esperienza, ma con adeguata formazione. Dobbiamo essere flessibili. Ecco perché offriamo alle amministrazioni la possibilità di scegliere le modalità di selezione più adatte al profilo che si deve reclutare. Il decreto reclutamento affida alla contrattazione collettiva sia la creazione di una nuova area per le qualifiche elevate, sia l’addio ai tetti sul salario accessorio. Un neolaureato o un professionista alle prime armi deve sapere di avere davanti a sé la possibilità di crescere e di far valere i propri meriti. Voglio anche rompere il tabù dei contratti a termine vissuti come occasioni perse. Nelle istituzioni europee sono normali: si può scegliere di fare un’esperienza come agente contrattuale o temporaneo, anche se si è altamente specializzati. Il cambio di passo deve essere anche culturale. Se vogliamo un’Italia più bella, più giusta, più moderna, ognuno può e deve fare la sua parte.

Ma ci sono le risorse per far vivere questa nuova area delle «alte professionalità»?

Sì, sono a disposizione della contrattazione, a cui spetta il ruolo, vitale, di linfa del cambiamento regolando i nuovi percorsi di carriera.

I tempi dei rinnovi dei contratti però sembrano più lenti rispetto alle ambizioni iniziali.

Ho chiarito sin dall’inizio che l’obiettivo del Governo è chiudere i contratti entro l’anno. Ricordo che i contratti si fanno in due. Ma ci sono tutte le condizioni, anche grazie alle nuove norme, di tagliare il traguardo entro dicembre.

Il calendario rischia di essere un problema anche per il Pnrr. Del 2021 restano ormai solo 4 mesi pienamente operativi. Riusciremo a spendere entro l’anno i 13,8 miliardi previsti per il 2021?

In quattro mesi abbiamo approvato il Pnrr, le semplificazioni, la riforma della Pa e la delega sulla giustizia penale, meritandoci il plauso europeo l’arrivo a stretto giro dei primi 25 miliardi di anticipo dei fondi europei. È palese l’inversione di rotta rispetto a un passato di troppi annunci e pochi fatti. Le risorse saranno dirottate verso i progetti immediatamente cantierabili. Lo ha ricordato il ministro Giovannini: 6 miliardi sono già pronti per essere distribuiti alle Regioni. Noi abbiamo cambiato il motore della macchina. Non ci resta che ingranare la marcia e puntare dritti verso l’Italia di domani. Con buona pace di chi vorrebbe usare il semestre bianco per scassare tutto. Non ci riuscirà.