La Stampa - Alessandro Dimatteo

"Ora le riforme o niente fondi europei il boom è partito, serve un patto sociale"

27 giugno 2021

 «Avviso ai naviganti: no reform, no money! ». Renato Brunetta inizia cosi l'intervista. Il ministro per la Pubblica amministrazione è ottimista per il futuro, vede all'orizzonte una opportunità epocale per il Paese e sottolinea che già è in atto un «rimbalzo», innescato anche dal clima di fiducia che il governo Draghi ha saputo creare. Ma proprio per questo, chiarisce, ora non bisogna commettere errori. C'è da capire che viviamo una fase assolutamente eccezionale che va affrontata con un «approccio di politica economica capace di tenere insieme crescita ed efficienza - da un lato - e giustizia sociale e lotta alla disoccupazione dall'altro». Un «patto sociale», insomma, come quello di Ciampi nel 1993. Un messaggio anche ai sindacati che manifestano contro la fine del blocco dei licenziamenti: «Non ha senso il conflitto sociale in una fase di boom economico ».

A chi lo manda l'avviso?

«A tutti: partiti, istituzioni, opinione pubblica, ministri, maggioranza, opposizione... I soldi arrivano solo se si fanno le riforme, quelle individuate sono circa quaranta. In cambio di queste riforme vengono erogate risorse attraverso puntuali Sal, stati di avanzamento lavori. Ecco perché "no reform, no money"».

Gli euroscettici diranno: l'Europa ci ricatta...

«Ma quando si sottoscrive un libero contratto parliamo di ricatto? Quello che abbiamo sottoscritto è stato un contratto voluto dal governo e dal Parlamento sovrano a grandissima maggioranza. Altro che ricatto, è e sarà la nostra salvezza. Noi non abbiamo mai avuto la forza e il coraggio di fare quelle riforme, le riforme necessarie. E quindi dovremo solo dire grazie all'Europa, ad Angela Merkel e a Mario Draghi che ci hanno portato a questo risultato. Chiunque volesse stracciare questo contratto è liberissimo di farlo, oggi, domani e dopodomani, sapendo a cosa si va incontro: la bancarotta del Paese. Che sia chiaro a tutti».

Anche la riforma della pubblica amministrazione è tra quelle che si annunciano da decenni. Basterà «l'avviso ai naviganti» per portarla a termine?

«In soli quattro mesi il governo Draghi ha firmato con i sindacati un Patto per l'innovazione del lavoro pubblico e la coesione sociale, ha riavviato i rinnovi contrattuali che erano bloccati, ha riformato  i concorsi pubblici, ha eliminato le rigidità dello smart working, ha approvato e consegnato all'Europa a fine aprile il Piano nazionale di ripresa e resilienza e, tra fine maggio e inizio giugno, ha varato i tre pilastri essenziali del Piano con due decreti legge: semplificazioni, governance e reclutamento. Abbiamo anche anticipato pezzi importanti della riforma della Pa: carriere, formazione, merito e produttività. È la prima delle grandi riforme incompiute del passato che ha già cominciato a materializzarsi. Nei fatti, non a parole. Per questo penso con realismo e ottimismo a una Pa amica. I 32 milioni di italiani che hanno fatto almeno una dose di vaccino hanno visto che è possibile: efficienza e gentilezza a una scala mai vista».

Lei parla di nuovo boom, mentre però sono a rischio centinaia di migliaia di posti di lavoro e aumenta la povertà. La ripresa sarà sufficiente a sanare tutto questo?

«Siamo in fase di rimbalzo, superiore a quello stimato dal governo solo pochi mesi fa e molti cominciano a parlare di un aumento del Pil del 5% e oltre per quest'anno. Anche se finora non abbiamo speso nemmeno un euro dei soldi del Recovery plan. Il rimbalzo è legato al clima generale, ai vaccini, al fatto che conosciamo meglio il virus, certo. Ma pesa anche il "contratto" sottoscritto con l'Europa. E conta che il governo Draghi lo stia rispettando, quel contratto, in ogni suo passaggio. Immaginiamo cosa sarebbe accaduto se a fine aprile non avessimo approvato, come governo e Parlamento, il Pnrr! Stavolta - e non era quasi mai successo nella storia repubblicana - abbiamo rispettato gli impegni. Si sa, la fiducia è benzina nel motore della crescita. Un piano di investimenti pubblici per 240 miliardi non ha eguali. Se poi aggiungiamo gli investimenti privati - trainati da quelli pubblici - abbiamo una prospettiva di crescita mai vista in questo Paese».

Ma i sindacati manifestano contro la fine del blocco dei licenziamenti, parlano di «bomba sociale». Si andrà allo scontro?
 
«Non ha senso il conflitto sociale quando si è in una fase di boom economico. Sarebbe il fallimento della politica, ma anche del sindacato. Occorre dialogo. Serve a tutti, al sindacato ma anche al governo. Sto pensando a un vero e proprio patto sociale. Un grande accordo per gestire questa fase. Le criticità ci sono, perché esistono situazioni difficili in alcuni settori e in alcune aree territoriali. Ma c'è l'obbligo morale, economico e politico di gestire questo momento dentro un grande accordo. È un percorso che deve essere individuato e guidato, non può essere lasciato solo agli spiriti animali del mercato. E lo dice un liberalsocialista».
 
Sono pensabili blocchi selettivi, come dice il ministro Orlando?
 
«Ma certo! Nel quadro di un accordo, appunto. Come abbiamo fatto nella Pa. Avete visto scioperi?  Chiamiamolo come vogliamo, ma abbiamo bisogno di un Protocollo d'intesa come quello di Ciampi nel '93. La gravità dei problemi strutturali del nostro mercato del lavoro non consente di individuare soluzioni semplicistiche. Ecco perché penso sia opportuno firmare un Patto sul lavoro privato analogo a quello sul lavoro pubblico siglato il 10 marzo dal presidente Draghi».
 
Tra le riforme in cantiere c'è quella degli ammortizzatori sociali. Il reddito di cittadinanza deve cambiare?
 
«Va riconsiderata tutta la cassetta degli attrezzi e il ministro Orlando sta lavorando bene proprio su questo punto. Perché la crescita è condizione fondamentale, ma non sufficiente».
 
Teme che il caos dentro i 5 Stelle possa avere ripercussioni sul governo?
«Ho troppo rispetto per le forze politiche e non mi permetto di dare alcun giudizio. Anche perché ce n'è per tutti. Se il governo Draghi avrà successo nulla sarà più come prima, anche dal punto di vista del sistema dei partiti. Pensiamo a cosa sta succedendo nel centrodestra, nel Pd... Cambierà tutto, e sarà una trasformazione positiva».
 
Lei tifa per Draghi al Quirinale, giusto?
 
«Questo dipende dalle forze politiche, ovviamente. E dipende molto da quello che succederà nei prossimi mesi. Attualmente Draghi ha oltre il 70% dei consensi e il suo governo un punto o due in meno. A volte la storia dimostra una grande intelligenza. E, come ci ha ricordato il presidente della Repubblica Mattarella nel suo bellissimo discorso del 2 giugno citando De Gregori, la storia siamo noi».