Milano Finanza - Andrea Pira

È il momento della verità

17 luglio 2021

E l'ora della verità. Non usa mezzi termini il ministro per la Pubblica amministrazione, Renato Brunetta. «L'Italia è davanti a un bivio: boom economico oppure default. Il passato vuol dire il circolo vizioso tra chiusure, Dad, ristori, deficit, debito e crescita sotto zero. Il futuro è la ripresa, il Next Generation Eu, con il suo corollario di riforme e investimenti. Abbiamo fortunatamente le chiavi per il ritorno alla normalità: vaccini e green pass. Sono il discrimine. Più riapriamo le attività, più abbiamo bisogno di una patente per lo sviluppo», spiega a MF-Milano Finanza.

Un confronto utile anche a illustrare il suo progetto per la Pa: «Efficienza e gentilezza. Le abbiamo viste all'opera con la campagna vaccinale del generale Figliuolo. È quello il mio modello». Colpisce la presa di posizione senza se e senza ma a favore della via francese per l'uscita definitiva dalla pandemia, per non gettare alle ortiche i traguardi raggiunti negli ultimi mesi. «L'Italia deve fare una scelta fortissima, la più forte in Europa, e abbracciare il modello Macron, persino rafforzato. È una scelta dal valore sociale inestimabile - in linea con la nostra Costituzione - che coniuga la responsabilità individuale alla salute collettiva e all'economia: non possiamo assolutamente permetterci nuovi lockdown. In caso contrario torneremmo alla gestione cieca della pandemia, meramente emergenziale, e vanificheremmo non soltanto i sacrifici fatti dai cittadini e dalle imprese, ma anche la spinta alla crescita che arriva dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Questa è l'ora della responsabilità e della verità. Non lasciamoci ingannare da un malinteso senso di sicurezza, non lasciamoci ammaliare da un malinteso senso di libertà. Ricordiamoci qual è l'unico nemico da cui dobbiamo difenderci: il Covid-19. Adesso abbiamo gli strumenti per combatterlo: le vaccinazioni».

Domanda. Nella stessa maggioranza c'è contrarietà all'estensione del greenpass...

Risposta. Questo è normale, ne discuteremo in Consiglio dei Ministri. Io ho voluto chiarire la mia posizione, condivisa dal mio partito, che muove da una valutazione non di tipo emotivo, ma economico e strategico. Si tratta di una grande scelta di responsabilità per permettere di riaprire le attività, di tornare a vivere.

D. Tutto ciò presuppone che la macchina pubblica funzioni al meglio, per evitare che si restringano le libertà dei cittadini. Il sistema è pronto?

R. Il meccanismo di vaccinazione è uno dei più efficienti nella storia della nostra Pa. Negli ultimi quattro mesi abbiamo assistito a un successo. Della macchina messa in moto dal generale Figliuolo io mi fido ciecamente. Il 15 luglio il 63,27% degli italiani over 12 aveva ricevuto la prima dose, il 47,76% anche la seconda. Continuando al ritmo di 500mila dosi al giorno senza esitazioni, a fine luglio potremo arrivare alla copertura del 60% della popolazione italiana vaccinabile e a fine settembre dell'80%. I green pass già scaricati sono 31 milioni, quelli generati sono 48,35 milioni, comprensivi di vaccinazioni, tamponi e guarigioni.

Oggi in ospedale con forme gravi arrivano soprattutto pazienti non vaccinati. E il ministro Speranza ha sottolineato il fatto che nei cambi di colore e nelle misure di contenimento dovrà pesare di più il tasso di ricoveri rispetto agli altri indicatori. Dobbiamo correre più del virus e della variante delta. Occorre lavorare di grana fina ed evitare l'incertezza. Per questo dobbiamo compiere scelte drastiche e totalizzanti.

D. Per questo condivide la strategia di Macron?

R. Abbiamo sempre accettato di buon grado di vaccinarci per viaggiare nei Paesi dove alcune malattie sono endemiche. Una storia antica: dall'Archivio di Chioggia è spuntato un documento del 1599 che suona come un lasciapassare ante litteram negli anni della peste. Perché adesso, con una pandemia ancora in corso e varianti in aumento, si spaccia per libertaria una battaglia di retroguardia contro il green pass?

D. Meglio il green pass o l'obbligatorietà per i vaccini?

R. La letteratura scientifica ci dice che, in campo sanitario e in particolare quando si parla di vaccini, i comportamenti sono molto sensibili agli incentivi e all'eliminazione dei vincoli. Sembrerebbe dunque efficace un sistema di obblighi per alcune categorie, come abbiamo previsto per gli operatori sanitari, e di oneri e incentivi per tutti gli altri.

Una forma di intervento meno invasiva dell'obbligo è quella di condizionare al possesso del green pass e alla vaccinazione l'accesso ad attività non essenziali, come i grandi eventi negli stadi, i concerti, gli spettacoli di teatro. Richard Thaler e Cass Sunstein hanno inoltre individuato nei «nudge», le spinte gentili, i fattori capaci di alterare i comportamenti delle persone senza proibire alcuna scelta. Ecco perché potrebbe funzionare la progettazione di incentivi sociali più ampi che aumentino la stima sociale di coloro che si vaccinano, creando così effetti di rete desiderabili. Il valore dei vaccini supera di gran lunga il loro costo e anche il loro beneficio privato.

Al di là degli effetti protettivi sui singoli, hanno ricadute positive sull'intero sistema sociale ed economico. Abbiamo letto tutti con amarezza i risultati dei test Invalsi. La nostra scuola deve ripartire senza incertezze e senza Dad: ne va del futuro del nostro Paese. Vale lo stesso per il lavoro: a settembre bisogna tornare in presenza, perché gli uffici garantiscano l'efficienza e la produttività che serve a un Paese in crescita, con tassi da boom economico. Non possiamo tollerare la schizofrenia dei locali aperti e delle scuole e degli uffici chiusi.

D. Questo vorrà dire niente più smart working?

R. Tutto si tiene. Il green pass totalizzante serve a garantire la pienezza della ripresa, che impone un cambiamento di paradigma. La normalità dovrà essere il lavoro in presenza, ferma restando la quota minima del 15% di dipendenti in smart working che abbiamo già previsto a regime per la Pa. Il lavoro agile sarà certamente possibile, ma a condizione che migliori la produttività, l'efficienza e la sodisfazione dei cittadini-clienti.

D. Le risorse in arrivo dalla Ue sono legate alle riforme. Ci sono le condizioni affinchè queste si realizzino secondo il cronoprogramma?

R. Ho parlato di momento W - Wembley Wimbledon - che corona con lo sport il «momento Draghi», figlio a sua volta del «momento Merkel». L'ho chiamata congiuntura astrale: una fortunata combinazione che fa incrociare la traiettoria di una nuova Europa, che ha scelto di indebitarsi per sostenere la ripresa post-pandemia, con quella di una nuova Italia. Un Paese che può vantare il presidente del Consiglio più autorevole del mondo, una inedita stabilità istituzionale e un piano a lungo termine, il Pnrr, che equivale a un contratto con l'Europa: riforme in cambio di soldi.

Tutti fattori che ci consentono di recuperare anni di ritardi e di aggredire una volta per tutte le nostre debolezze strutturali. Ma anche di risultare affidabili. Niente ha più successo del successo. Abbiamo rispettato tempi e impegni presi con la Commissione Europea, approvando il Piano entro il 30 aprile e i primi due decreti previsti dal cronoprogramma, quello su semplificazioni e governance e quello sul reclutamento, a fine maggio e a inizio giugno. Quando mai era successo? Credibilità e reputazione rappresentano un invisible asset, l'elemento che sta attraendo in Italia investitori e capitali. Come sempre, i mercati sono stati svelti a capire che l'Italia del 2021 è un Paese su cui conviene scommettere per sfruttare questo sentiero di sviluppo aperto dal Next Generation Eu e dalle riforme. Ecco perché chiuderemo il 2021 al +5% senza aver ricevuto al momento alcun euro dall'Europa. Attenzione, però. La credibilità da sola è necessaria, ma non sufficiente nel medio-lungo termine: i mercati ci chiedono anche stabilità. L'unica via per garantirla è proteggerci da eventuali altre ondate pandemiche. Di nuovo, il green pass.

D. I primi 25 miliardi di anticipo arriveranno però a settimane. A quali progetti saranno destinati?

R. Saranno probabilmente destinati ai progetti infrastrutturali cantierabili. Noi siamo pronti. L'Italia oggi è come una macchina che ha ricominciato a correre, nel cui serbatoio arriverà un'enorme fornitura di carburante: dobbiamo migliorarla nella carrozzeria e nel motore. Non possiamo più tollerare l'incapacità di spendere il denaro che sta entrando nelle nostre casse: sarebbe uno spreco imperdonabile. Per questo abbiamo già cominciato ad adattare la nostra cassetta degli attrezzi, ma anche la nostra squadra: la macchina-Paese ha bisogno di bravi piloti e di bravissimi meccanici.

D. La sua prima azione da ministro è stata siglare il Patto per l'innovazione del lavoro pubblico con i sindacati. Cosa occorre ora alla Pa per mettersi al passo con il Recovery?

R. Non ci può essere semplificazione né digitalizzazione senza un deciso investimento sulle persone. Piloti e meccanici, appunto. Parlo sia dello stock di 2 milioni di dipendenti pubblici sia del flusso dei nuovi ingressi (circa 150mila l'anno) legati al ripristino del turnover e aI Pnrr. La transizione amministrativa è la premessa per quella ecologica e per quella digitale. E le persone, le competenze, sono il vero vettore del cambiamento. Soltanto riqualificando la Pa possiamo assicurare alle imprese e ai cittadini servizi più efficienti, amministrazioni amiche e non vessatorie. Partire dalle persone vuol dire anche investire sul loro potenziale. Il Recovery prevede 150 milioni in 5 anni per la formazione nella Pubblica amministrazione. Dall'autunno partirà un grande piano formativo per tutti i dipendenti pubblici, localizzato sulle tre transizioni - digitale, ecologica, amministrativa - e la sostenibilità. Ricordate le storiche «150 ore» dei contratti collettivi di lavoro dei metalmeccanici del 1973?

D. Spieghi pure...

R. Era il monte ore di permessi retribuiti che fu concordato per migliorare la formazione: fu una svolta eccezionale che aiutò l'alfabetizzazione dei lavoratori, allora privi per la stragrande maggioranza anche della licenza media. Oggi come allora dobbiamo intervenire con una nuova alfabetizzazione: «150 ore» simbolicamente per prepararci al futuro. Accanto a questo, prevederemo convenzioni ad hoc per incentivare i dipendenti pubblici a conseguire una laurea.

D. Quanto ai rapporti con i lavoratori, a che punto sono rinnovi dei contratti, cui il Patto fa da cornice?

R. Al momento abbiamo aperto il tavolo per il comparto funzioni centrali e sbloccato quello per difesa, sicurezza e soccorso pubblico. A breve avvieremo la trattativa per i prefetti, a settembre partirà quella per la sanità. Con lo stesso spirito che mi ha convinto a riaprire la stagione contrattuale, ho voluto sbloccare e semplificare i concorsi pubblici ordinari e prevedere, nel decreto reclutamento attualmente all'esame del Senato, corsie rapide per selezionare il personale che servirà ad attuare i progetti Pnrr.

D. Sui concorsi si registrano però difficolta a intercettare alte professionalità. Cosa fare per rendere la Pa nuovamente attraente?

R. Proprio oggi (ieri per chi legge, ndr) ho firmato un protocolto d'intesa con Professionltaliane, la rete che raccoglie 1,5 milioni di professionisti iscritti agli Ordini, per «popolare» di curricula il Portale del reclutamento che vedrà la luce in autunno. Sarà lo spazio virtuale, ma anche molto concreto, di incontro tra la domanda e l'offerta di lavoro pubblico. Sigleremo intese simili anche con le professioni non ordinistiche. Abbiamo bisogno di tutti coloro, giovani e meno giovani, che vogliono mettere energie e talenti al servizio della ricostruzione del Paese. In cambio offriremo una Pa che ha già in parte mutato pelle. 

Nel decreto Reclutamento abbiamo riformato i percorsi di carriera per favorire la mobilità dei dipendenti pubblici e superato i tetti al salario accessorio per premiare merito e produttività. L'esperienza del concorso Sud, che ha visto coperti meno della metà dei posti a bando, ci è servita da lezione. Basso tasso di partecipazione e basso tasso di idonei sembrano caratterizzare tutti gli ultimi concorsi. Ma dobbiamo riconoscere che non si possono cercare profili qualificati offrendo loro retribuzioni medio-basse, per di più a tempo determinato, come prevedeva l'impianto originario del concorso definito dal governo precedente.

D. Quali soluzione adotterete?

R. Per il Pnrr abbiamo previsto un ventaglio di differenti percorsi di reclutamento, dall'apprendistato agli incarichi professionali. Ma dobbiamo anche essere consapevoli del fatto che per il mercato del lavoro, così come per i consumi e l'inflazione, i tassi di crescita attuali rappresentano uno stress. Per la Pa, in particolare, dopo anni di blocco del turnover, è come un brusco risveglio da un letargo durato anni.

D. In settimana ha lanciato la proposta di un ciclo di Open Day sul piano di ripresa. Qual è lo scopo?

R. Sarà un modo per i cittadini di appropriarsi del piano. Il Pnnr deve essere calato nei territori, depurato dai tecnicismi respingenti e riconosciuto per quel che è; un Piano di tutti, per tutti. In autunno organizzeremo giornate di confronto nelle Università rivolte non soltanto a docenti e studenti - le future classi dirigenti del Paese - ma anche a imprese, sindacati, associazioni. È la strada migliore per realizzare questa grande progettualità che salva l'Italia e salva anche l'Europa.