Il Sole 24 Ore - Renato Brunetta

NGEU, Brunetta: «La nuova Europa rinasce da Guido Carli. Riscrivere regole finanza pubblica»

2 gennaio 2022

L’Europa si è sempre forgiata nelle crisi. Così è avvenuto con il Trattato CECA del 1954, che, insieme al Trattato di Roma del 1957, ricomponeva le lacerazioni della Seconda guerra mondiale; così è avvenuto con il Trattato di Maastricht del 1991, che suggellava, con la creazione della moneta unica, l’avallo politico alla riunificazione tedesca e la fine della Guerra Fredda. E così sta avvenendo con il Next Generation EU, che sta ricomponendo i rapporti tra gli Stati membri, grazie alla scelta di emettere debito comune per contrastare le conseguenze indotte dalla pandemia.
 
Questi momenti storici, di rottura dell’ordine precostituito, hanno visto prevalere la dimensione politica, volta a cercare soluzioni pragmatiche, su quella tecnocratica, volta a definire regole rigide. Durante la discussione sui parametri del Trattato di Maastricht, il ministro del Tesoro Guido Carli negoziò una clausola che consentiva agli Stati di impegnarsi in un percorso di avvicinamento tendenziale alla soglia obiettivo del rapporto debito/Pil (60%). Analogamente, e non a caso, per gestire la fase critica della pandemia, l’Unione Europea ha flessibilizzato le sue regole, introducendo il “Temporary Framework”, che sospende la normativa sugli aiuti di Stato e attivando la “general escape clause” che sospende il Patto di Stabilità e Crescita, per poi istituire il NGEU. 
 
Unico inciampo a questo processo di integrazione “forgiata nelle crisi”, preconizzato da Jean Monnet, è stata la gestione della crisi del 2008-2012. In quel momento, la politica, per scarsa comprensione dei meccanismi di trasmissione degli shock finanziari all’economia reale, lasciò il passo alla tecnocrazia. Il risultato fu che, mentre gli Stati Uniti, in sole sei settimane, iniziarono a risolvere i problemi del loro sistema bancario, attraverso il Quantitative Easing abbinato ad un programma di garanzie pubbliche (TARP), per coprire la Federal Reserve dai rischi eccessivi accumulati nel suo bilancio, la BCE aumentò i tassi di interesse, mentre il vertice franco-tedesco di Deauville dell’ottobre 2010 mise in dubbio la sostenibilità dei debiti pubblici, paventando la partecipazione degli investitori privati a possibili perdite sui titoli di Stato. Una scelta che precipitò, dopo la crisi greca, quella di Irlanda, Portogallo, Spagna e, infine, Italia. Ci vollero innumerevoli vertici, un drammatico, quanto poco democratico, cambio di governo in Italia e la creazione del MES, ottenuto in cambio dell’impegno dei Paesi in crisi a sottomettersi all’austerity, per consentire a Mario Draghi di pronunciare il suo famoso “whatever it takes” nel luglio 2012, e per decidere, nel novembre 2014, sulla scia del consenso ottenuto al vertice di agosto dei banchieri centrali a Jackson Hole, l’avvio del Quantitative Easing europeo. Il superamento delle regole avvenne così a ben sei anni di distanza dall’inizio della crisi, al prezzo di tre anni di recessione e di una deflazione senza precedenti in Europa.
 
Oggi è fondamentale evitare il ripetersi di quegli errori. Per farlo, occorre ritrovare la centralità della politica, per riscrivere in maniera intelligente le regole di finanza pubblica. In questa direzione si colloca la proposta di Mario Draghi ed Emmanuel Macron. Per i due presidenti, le regole di bilancio devono essere modificate e semplificate per non imbrigliare NGEU, il primo esperimento di quello stimolo fiscale su scala continentale che Mario Draghi aveva già auspicato da Presidente BCE, e che è posto alla base della ripresa europea, soprattutto nel sostegno alle due politiche principali per il futuro dell’Unione: transizione verde e digitale. 
 
La proposta di Draghi e Macron rilancia l’idea di Carli: la sostenibilità delle finanze pubbliche, obiettivo imprescindibile per assicurare il corretto funzionamento di una economia di libero mercato e l’indipendenza della BCE, deve essere garantita attraverso un percorso di riduzione di deficit e debito che avvenga nel rispetto del principio della tendenza graduale all’obiettivo, tenendo conto dei “fattori rilevanti” (debito privato, sistema pensionistico, mercato del lavoro, ecc.) specifici di ogni Paese, e non attraverso il pedissequo rispetto di rigidi e omogenei parametri quantitativi.
 
Altra questione fondamentale attiene alla necessità di scorporare dal calcolo del deficit gli investimenti legati alle transizioni ecologica e digitale. Della “golden rule” si parla da anni, ma finora è mancato il consenso sui meccanismi di verifica degli investimenti rispetto agli obiettivi da raggiungere. A tale riguardo, la proposta di Draghi e Macron può essere l’uovo di Colombo: per certificare la pertinenza degli investimenti scorporati dal deficit rispetto agli obiettivi si può usare lo schema di governance del NGEU, che impone un sistema di verifica periodica degli obiettivi, già applicato ai PNRR in corso di esecuzione. Tutto ciò può essere fatto a trattati invariati.
 
Se poi NGEU diventasse il meccanismo benchmark di riferimento per gli investimenti in beni pubblici europei, la UE avrebbe trovato il modo per supportare strutturalmente sia le grandi transizioni, che vanno ben oltre il 2026, sia gli shock cui dovrà far fronte, creando una capacità di bilancio finanziata da debito comune emesso sui mercati. Quest’ultima soluzione richiederebbe una modifica dei Trattati, anche per introdurre un Ministro delle Finanze unico e completare l’unione bancaria e quella dei mercati dei capitali, un rafforzamento dell’area euro auspicato anche dai Ministri delle Finanze nel loro messaggio di celebrazione del ventennale della moneta unica. Ma, proprio perché l’UE è forgiata nelle crisi, discutere di tale modifica non può e non deve essere un tabù. L’accordo sulla revisione delle regole di finanza pubblica dovrebbe, dunque, prevedere come ultimo atto l’impegno a seguire un percorso di riforma complessiva della politica di bilancio comune, da ratificarsi entro il 2026, anche sulla base delle conclusioni della Conferenza sul Futuro dell’Europa.
 
Come creare il consenso necessario a queste riforme? Il punto di partenza deve essere il rispetto della sostenibilità delle finanze pubbliche, che deve avvenire non in maniera rigida, ma tenendo conto del principio di “tendenza all’obiettivo” di Carli e dei fattori specifici di ogni Stato membro. Passare dalla riduzione dell’eccesso di debito pari a 1/20mo (regola di incerta gerarchia, in termini di fonti del diritto comunitario) a 1/40mo o 1/50mo può aiutare, certo, ma non risolvere il problema. Così come diverse proposte accademiche circolate in questi mesi contribuiscono al dibattito tecnico sulle regole ma non portano a una soluzione, che deve essere necessariamente politica. In altri termini occorre un cambio di paradigma tale da garantire flessibilità nell’utilizzo del debito “buono” - per usare un termine caro a Draghi – ovvero quello relativo alle spese per investimenti, verificati tramite il meccanismo di governance NGEU, in cambio dell’impegno stringente al contenimento di una parte di spesa corrente, che spesso del debito rappresenta, invece, il lato “cattivo”. 
 
Un tale meccanismo di controllo della spesa garantirebbe uno stimolo continuo agli investimenti per tutto il periodo delle grandi transizioni digitali ed ecologica, agevolando la crescita e, in un circolo virtuoso, il percorso di rientro, strettamente controllato, del debito. 
 
Dunque, è necessario passare dal Carli di Maastricht allo spirito di Carli evocato da Draghi e Macron, per superare le regole delle tecnocrazie e riscoprire il valore fondamentale delle scelte politiche. Un passaggio che Italia e Francia hanno già fatto e che anche Olaf Scholz sembra disposto a fare, in cambio di opportune garanzie. Questo processo di riforma delle regole di bilancio non potrebbe, infatti, prescindere dal coinvolgimento della Germania così da chiudere il “triangolo virtuoso dei trattati” tra i tre grandi Stati fondatori della UE, con la sottoscrizione di quello tra Italia e Germania, già precorso dalla Dichiarazione congiunta tra Confindustria e BDI lo scorso settembre. Con l’augurio che il nuovo cancelliere tedesco ricordi le parole di Helmut Kohl: “Nel dubbio, per l’Europa”.