Limiti all’ammissibilità dell’aspettativa per il personale universitario

Parere sull’aspettativa senza assegni, a domanda, per svolgere attività di lavoro subordinato con contratti a tempo determinato presso amministrazioni ai sensi dell’art. 23 bis d.lgs. 165/2001

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Presidenza del Consiglio dei Ministri
DIPARTIMENTO DELLA FUNZIONE PUBBLICA
Ufficio per l’organizzazione ed il lavoro pubblico
Servizio per il trattamento del personale pubblico

DFP-0007147-P-03/02/2021

All’Università (omissis)

e, p.c. al Ministero dell’università e della ricerca
Direzione generale delle istituzioni della formazione superiore

Oggetto: Parere sull’aspettativa senza assegni, a domanda, per svolgere attività di lavoro subordinato con contratti a tempo determinato presso pubbliche amministrazioni, ai sensi dell’art. 23-bis del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165.

Si fa riferimento alla nota (omissis), acquisita con protocollo di questo Dipartimento (omissis), con cui codesta Università chiede di chiarire se - alla luce delle previsioni dell’art. 23-bis del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 - sia possibile concedere al pubblico dipendente l’aspettativa per lo svolgimento di un contratto di lavoro subordinato a tempo determinato presso altra pubblica amministrazione o organizzazione privata. Secondo quanto riferito, la richiesta di parere è originata dalle numerose richieste di fruizione di aspettativa senza assegni dei dipendenti di codesta Università per lo svolgimento attività di lavoro subordinato con contratti a tempo determinato presso altre amministrazioni pubbliche. Nel porre il quesito si fa riferimento, in particolare, all’aspettativa contemplata dall’articolo 23-bis del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e ad alcune previsioni contrattuali che consentirebbero nei termini ivi illustrati lo svolgimento di attività lavorative diverse da quelle propriamente di servizio in regime di lavoro subordinato o autonomo. Secondo codesta Università la ratio degli istituti richiamati nel quesito sarebbe infatti quella “di consentire a chi ha un rapporto di pubblico impiego la possibilità di sperimentare un diverso lavoro sia esso pubblico che privato al fine di poter scegliere quale dei due proseguire ovvero solo per arricchimento professionale anche utile, in estrema analisi, all'amministrazione di appartenenza”, tuttavia “resta incerto se il regime di aspettativa, laddove non espressamente derogato, possa ex se determinare la sospensione dell’incompatibilità di cui all’art. 65 del D.P.R. n. 3/1957 (divieto del cumulo di impieghi)”.

Poiché per i termini in cui è posto il quesito investe problematiche di carattere generale concernenti la disciplina in materia di incompatibilità e cumulo di impieghi, la cui corretta applicazione è oggetto di particolare attenzione da parte di questo Dipartimento, si ritiene utile svolgere preliminarmente alcune considerazioni di contesto al fine di fornire un quadro più esaustivo dell’istituto disciplinato dal citato art. 23-bis del d.lgs. n. 165 del 2001,  per le conseguenti determinazioni di codesta Università.

Come anche rappresentato nella richiesta di parere, innanzitutto corre l’obbligo di evidenziare come, anche a seguito del processo di privatizzazione, deve considerarsi permanente nell’ordinamento del lavoro alle dipendenze della pubblica amministrazione la regola dell’esclusività del rapporto di lavoro, il cui fondamento giuridico va ricercato negli articoli 97 e 98 della Costituzione e nei principi di imparzialità, efficienza e buon andamento della pubblica amministrazione. Il generale divieto di svolgimento, da parte del dipendente pubblico, di incarichi e attività extraistituzionali è un principio di diretta derivazione del principio di esclusività la cui disciplina, in quanto concorrente all’attuazione di principi contenuti nella nostra Costituzione, è riservata alla legge ed è, pertanto, suscettibile di temperamenti solo mediante deroghe legislative espresse.

Come noto, il principio dell’esclusività è stato normativamente affermato nell’art. 60 del d.P.R. n. 3 del 1957 secondo cui “L'impiegato non può esercitare il commercio, l'industria, né alcuna professione o assumere impieghi alle dipendenze di privati o accettare cariche in società costituite a fine di lucro, tranne che si tratti di cariche in società o enti per le quali la nomina è riservata allo Stato e sia all'uopo intervenuta l'autorizzazione del Ministro competente”. A tale disposizione fanno da corollario ulteriori previsioni contenute nel medesimo decreto presidenziale tra le quali è bene ricordare, per la sua portata anch’essa generale, il divieto di cumulo degli impieghi pubblici posto dall’art. 65, richiamato da codesta Università nel quesito proposto, secondo cui “Gli impieghi pubblici non sono cumulabili, salvo le eccezioni stabilite da leggi speciali.” con la conseguenza che "l'assunzione di altro impiego nei casi in cui la legge non consente il cumulo importa di diritto la cessazione dall'impiego precedente".

Anche a seguito della contrattualizzazione del rapporto di lavoro, il riferimento alle disposizioni generali in materia di incompatibilità del testo unico del 1957 è stato mantenuto come principio cardine [1] ma, nell’ambito della sopravvenuta e più articolata disciplina dell’art. 53 del d.lgs. n. 165 del 2001, il legislatore ha inteso apportarvi - in un’ottica di valorizzazione delle competenze professionali dei dipendenti pubblici conseguente allo svolgimento sia pure opportunamente delimitato di attività diverse - alcuni temperamenti prevedendo, nel comma 1 del citato art. 53, deroghe all’art. 60 del d.P.R. n. 3 del 1957 [2]. Tra queste è fatta salva “la deroga prevista dall'articolo 23-bis del presente decreto”.

Tale disposizione, nel testo modificato dall’art. 4 della legge 19 giugno 2019, n. 56 (c.d. legge concretezza), stabilisce che “In deroga all'articolo 60 del testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3, i dipendenti delle pubbliche amministrazioni, ivi compresi gli appartenenti alle carriere diplomatica e prefettizia, e, limitatamente agli incarichi pubblici, i magistrati ordinari, amministrativi e contabili e gli avvocati e procuratori dello Stato sono collocati, salvo motivato diniego dell'amministrazione di appartenenza in ordine alle proprie preminenti esigenze organizzative, in aspettativa senza assegni per lo svolgimento di attività presso soggetti e organismi, pubblici o privati, anche operanti in sede internazionale, i quali provvedono al relativo trattamento previdenziale. Resta ferma la disciplina vigente in materia di collocamento fuori ruolo nei casi consentiti. Il periodo di aspettativa comporta il mantenimento della qualifica posseduta. E' sempre ammessa la ricongiunzione dei periodi contributivi a domanda dell'interessato, ai sensi della legge 7 febbraio 1979, n. 29, presso una qualsiasi delle forme assicurative nelle quali abbia maturato gli anni di contribuzione…..”. Stando al tenore letterale della norma, lo “svolgimento di attività presso soggetti pubblici” è quindi ammesso dal legislatore. La circostanza che non sia specificata la natura del rapporto che si va ad instaurare con il soggetto pubblico e il ricorso al regime dell’aspettativa, che presuppone lo svolgimento di attività assorbenti sotto il profilo dell’impegno lavorativo, inducono a ritenere esclusa in astratto la possibilità dell’utilizzo dell’istituto in questione nei casi di instaurazione di un rapporto di lavoro subordinato a tempo determinato con altra pubblica amministrazione, conseguentemente al positivo esperimento di procedure di carattere selettivo. Una conclusione diversa determinerebbe una disparità di trattamento tra i dipendenti che intendano avvalersi di tale istituto per lo svolgimento di esperienze lavorative mediante attivazione di rapporti di lavoro di tipo subordinato a tempo determinato con altri soggetti pubblici e i dipendenti che intendano avvalersene per lo svolgimento di attività identiche e al medesimo titolo in favore di soggetti privati, sia pure – in questo caso - nel rispetto del limite temporale di 5 anni previsto dal comma 4 del medesimo decreto legislativo n. 165 del 2001. Né può essere sottovalutato il riferimento alla nozione di “soggetto pubblico” che - anche considerando il contesto della disciplina del decreto legislativo n. 165 del 2001 in cui la norma in esame è inserita - consente di ricomprendervi sia le amministrazioni individuate nell’art. 1, comma 2, del medesimo testo, sia altri soggetti per i quali la natura pubblica sia desumibile per legge e atto costitutivo [3].

Ora, poiché, come correttamente osservato nella richiesta di parere, è vigente nel nostro ordinamento il divieto di cumulo di impieghi pubblici posto dal citato art. 65 del d.P.R. n. 3 del 1957, dovrebbe allora ritenersi che la norma in esame configuri una delle possibili eccezioni cui si fa rinvio nel citato art. 65 [4] per cui la concessione dell’aspettativa non retribuita per il periodo corrispondente alla durata del nuovo rapporto che si va ad instaurare varrebbe quale rimozione temporanea del limite posto dal divieto di cumulo di impieghi pubblici. 

Tuttavia, in assenza di indicazioni espresse da parte del legislatore sui rapporti tra tale previsione e l’art. 23-bis del d.lgs. n. 165 per la parte riguardante lo svolgimento di attività con le pubbliche amministrazioni, corre l’obbligo di evidenziare che, ferme restando le preclusioni previste nel comma 5 della medesima disposizione, l’accoglimento della tesi interpretativa proposta comporta, per le amministrazioni chiamate ad esprimersi sulla richiesta di aspettativa, l’utilità della fissazione di criteri generali tramite adozione di atti di regolazione interna, per assicurare la regolare prosecuzione delle attività istituzionali dell’amministrazione e scongiurare la sussistenza di potenziali conflitti d’interesse in concreto. Si ricorda, infatti, che il collocamento in aspettativa di cui trattasi è consentito – come sopra visto - in deroga all’art. 60 del d.P.R. n. 3 del 1957 “salvo motivato diniego dell'amministrazione di appartenenza in ordine alle proprie preminenti esigenze organizzative”.

Per una più consapevole applicazione dell’istituto in esame pare altresì necessario tenere presente l’intento del legislatore illustrato nella relazione al progetto normativo trasfuso nella legge n. 145 del 2002, con cui il più volte citato 23-bis è stato introdotto nel decreto legislativo n. 165 del 2001 e cioè che – in origine - l’aspettativa in questione era diretta a “favorire una maggiore mobilità dei dirigenti tra settore pubblico e privato, anche al fine di realizzare un proficuo e reciproco scambio di esperienze”, per “realizzare una maggiore osmosi tra management pubblico e management privato”, contribuendo “alla promozione della crescita professionale della dirigenza pubblica…….nonché di realizzare un meccanismo di pantouflage trasparente per assicurare un continuo scambio di esperienze, di best practices e di culture organizzative[5]. Nelle intenzioni del legislatore del 2002 principale obiettivo dell’aspettativa in esame – soprattutto ove circoscritta solamente allo “scambio” tra pubblico e privato - doveva essere l’osmosi tra le diverse esperienze professionali, attraverso cui si sarebbe favorito lo sviluppo di più articolate esperienze professionali con positive ricadute al suo rientro per lo sviluppo della capacità amministrativa dell’amministrazione che la disponeva. Anche ora che la norma ha esteso il proprio ambito soggettivo di applicazione, pare il caso di sottolineare che – in un’ottica prettamente organizzativa – tale osmosi dovrebbe di regola trovare realizzazione solo ove riferita a situazioni e a contesti contigui ma non identici, idonei per questo a generare attraverso l’influenza reciproca la maturazione di esperienze professionali diverse, non altrimenti conseguibili nell’organizzazione di provenienza.

Va inoltre evidenziato che la norma pone a carico del soggetto presso cui è svolta la diversa esperienza lavorativa gli oneri relativi al trattamento previdenziale, ferma restando la ricongiunzione dei periodi contributivi a domanda dell'interessato.  La disciplina degli effetti previdenziali derivanti dall’adesione all’istituto in esame induce ad una riflessione ulteriore sulla portata della norma che - ove considerata anche in relazione ad altre previsioni presenti nel nostro ordinamento che consentono lo svolgimento di prestazioni lavorative in favore di amministrazioni diverse da quella nei cui ruoli il dipendente è inquadrato [6] - conforta lo Scrivente sulla natura peculiare dell’istituto in esame che dovrebbe trovare applicazione in situazioni non coperte da discipline tipizzate che già consentono lo svolgimento di prestazioni lavorative in favore di datori di lavoro pubblici diversi dall’amministrazione nei cui ruoli il dipendente è inquadrato.

Per le motivazioni sopra illustrate deve quindi ritenersi che – in ragione della sua descritta specialità - l’aspettativa di cui all’art. 23-bis del d.lgs. n. 165 del 2001 possa trovare applicazione esclusivamente in termini di residualità rispetto ad altri istituti previsti da norme di rango legislativo che disciplinano con maggior dettaglio fattispecie in cui il dipendente pubblico può prestare servizio per un’amministrazione diversa da quella nei cui ruoli è inquadrato e, comunque, subordinatamente alla previa valutazione dell’esigenze organizzative e in funzione del perseguimento di obiettivi di crescita professionale del dipendente interessato [7]. In tal senso pare il caso di evidenziare che, per le implicazioni conseguenti al regime derogatorio della disciplina sulle incompatibilità, l’istituto in questione è interamente regolato dalla legge ed è per questo assoggettato ad un principio di stretta interpretazione [8].

Per quanto riguarda poi il possibile utilizzo dell’aspettativa senza assegni a domanda, per un anno, per realizzare l’esperienza di una diversa attività lavorativa prevista dalle clausole contrattuali richiamate nella richiesta di parere [9], in disparte le previsioni riferite alla concessione dell’aspettativa per lo svolgimento del periodo di prova nel caso di nuova assunzione, si è dell’avviso che la relativa applicazione debba essere comunque ricondotta alla cornice giuridica del regime di esclusività del lavoro alle dipendenze della pubblica amministrazione e delle deroghe espresse con norme di rango legislativo per come fin qui illustrate. Per le motivazioni sopra illustrate, non si ritengono infatti prefigurabili deroghe in bianco [10] di natura contrattuale al principio di esclusività, atteso che, come sopra detto, la materia delle incompatibilità è regolata dalla legge (art. 2, comma 1, lett. c), punto 7, legge n. 421 del 1992). Tali clausole potranno quindi trovare applicazione in conformità alle previsioni dell’art. 23-bis del d.lgs. n. 165 del 2001, ferme restando le illustrate finalità dell’istituto ivi previsto, ovvero dell’art. 18 della legge 4 novembre 2010, n. 183 che, come anche rappresentato nella richiesta di parere, disciplina  l’aspettativa, senza assegni e senza decorrenza dell'anzianità di servizio, per un periodo massimo di dodici mesi rinnovabile per una sola volta, anche per avviare attività professionali e imprenditoriali.

Tanto si rappresenta in termini di carattere generale e a titolo di contributo per le definitive determinazioni di codesta Università in ordine alle richieste di aspettativa ai sensi dell’art. 23-bis del d.lgs. n. 165 del 2001 dei propri dipendenti che dovranno, pertanto, essere valutate caso per caso in relazione ai principi illustrati con il presente parere.

IL CAPO DIPARTIMENTO
F.to Cons. Ermenegilda SINISCALCHI

 

[1] Si evidenzia che l’art. 53, comma 1, fa salve anche la speciale disciplina sulle incompatibilità del personale amministrativo, artistico e tecnico a tempo indeterminato degli enti lirici e delle istituzioni concertistiche assimilate di cui all’art. 9, commi 1 e 2 della legge n. 448 del 1992, della scuola di cui agli articoli indicati del d.lgs. n. 297 del 1994 e del personale dipendente del S.S.N. di cui all’art. 4, comma 7, della legge n. 412 del 1991.

[2] Per la disciplina derogatoria in materia di rapporto di lavoro part-time si rinvia alla lettura dell’art. 1, comma 56 e seguenti comma 56- bis, della legge n. 662 del 1996.[1]A tale proposito si tenga presente che nella prima stesura del progetto di legge poi trasfuso nella legge n. 145 del 2002, nella parte dedicata all’introduzione dell’art. 23-bis nel decreto legislativo n. 165 del 2001 (A.C. 1696, art. 5, comma 1) si faceva riferimento a “amministrazioni diverse da quella di appartenenza, soggetti privati, enti pubblici economici ed altri organismi pubblici o privati operanti anche in ambito internazionale”.

[3] A tale proposito si tenga presente che nella prima stesura del progetto di legge poi trasfuso nella legge n. 145 del 2002, nella parte dedicata all’introduzione dell’art. 23-bis nel decreto legislativo n. 165 del 2001 (A.C. 1696, art. 5, comma 1) si faceva riferimento a “amministrazioni diverse da quella di appartenenza, soggetti privati, enti pubblici economici ed altri organismi pubblici o privati operanti anche in ambito internazionale”.

[4] A titolo di esempio si fa presente che l’art. 110 del d.lgs. n. 267 del 2000 nel testo modificato dall'art. 11, comma 1, lett. b), del d.l.  n. 90 del 2014 fa salva la possibilità di mantenimento del rapporto di lavoro in essere, a fronte della concessione da parte dell'Amministrazione di appartenenza dell'aspettativa prevista dalla medesima disposizione, fermo il generale principio di divieto di cumulo.

[5] Relazione illustrativa del disegno di legge A.C. 1696 del 2001 recante “Disposizioni per il riordino della dirigenza statale e per favorire lo scambio di esperienze e l'interazione tra pubblico e privato”, approvato definitivamente come legge 15 luglio 2002, n. 145.

[6] Si pensi in proposito alle previsioni in materia di incarichi dirigenziali conferiti ai sensi dell’art. 19, comma 5-bis e e comma 6, del d.lgs. n. 165 del 2001 ovvero dell’articolo 110 del d.lgs. n. 165 del 2000, o per il personale non dirigenziale ai provvedimenti di assegnazione temporanea o ancora al regime di aspettativa per l’esperimento del periodo di prova previsto dalla contrattazione.

[7] Nel solco della disciplina dell’art. 23-bis del d.lgs. n. 165 del 2001 l’art. 10, comma 8, del CCNL 10 febbraio 2004, come modificato dall’art. 24, comma 13, del CCNL 3 novembre 2005 dell’Area della dirigenza medico-veterinaria prevede, ad esempio, che i soggetti presso cui i dirigenti medici e veterinari interessati possono svolgere un’esperienza professionale nel regime di aspettativa dell’art. 23-bis del d.lgs. n. 165 del 2001 presso gli organismi pubblici o privati dell’Unione europea, gli ospedali pubblici dei paesi dell’Unione europea e gli organismi internazionali, e questo nell’ottica del riconoscimento di un’esperienza.

[8] V. Consiglio di Stato, sez. IV, sent. 21 luglio 2005, n. 3914.

[9] Art. 37 comma 2 del CCNL - comparto Università 2006/2009 art. 18 del CCNL - comparto scuola 2006/2009 - e art. 7, comma 8, del CCNL Integrativo Ministeri del 16 maggio 2001.

[10] Fanno eccezione per la disciplina di dettaglio ivi contenuta le speciali previsioni dell’art. 10, comma 8, del CCNL 10 febbraio 2004, come sostituito dall’art. 24, comma 13, e dell’art. 3 novembre 2005 dell’Area IV medico-veterinaria e dell’art. 10, comma 8, del CCNL 10 febbraio 2004, come integrato dall’articolo 24, comma 15, CCNL 3 novembre 2005 dell’Area III Dirigenza sanitaria, professionale, tecnica ed amministrativa.